giovedì 28 febbraio 2008

Grande Raccordo Anulare

http://anas.octotelematics.it/traffic/anas/

Arroyo gets security forces backing

The embattled Philippine president has received a crucial show of support from senior members of the military and police.
The heads of the military and police locked arms in a "unity march" with several thousand police officers on Monday to end coup rumours circulating in the capital via mobile phone text message.






"We are here to say that these reports and text messages are untrue, that they are completely false, since we in the police and the military are solid, united behind the government," said Avelino Razon, the country's police chief.









His words were echoed by General Hermogenes Esperon, the military chief.
"This is our expression ... that our countrymen should not be concerned with rumours of destabilisation," he said.
Protest rallies
The show of support came as thousands of Filipinos rallied across the country, calling on Gloria Arroyo to resign amid corruption charges.

Students, teachers, religious leaders and activists marched through 15 cities on Monday, the 22nd anniversary of the creation of the country's "people power" movement, following a series of corruption scandals involving Arroyo.

The former economist has survived three impeachment bids and more than 10 coup attempts, the last one just three months ago.

The latest claims to affect Arroyo involve allegations that her husband and a close political ally received $130m in illegal payments in return for putting pressure on the government to approve an overpriced national broadband network contract with a Chinese corporation.
The pair deny the claims and Arroyo has vowed to see out her final term, which ends in 2010.
Political analysts say she will likely do so because besides enjoying the support of the security forces, she can count on the backing of the lower house of congress, and the powerful Catholic church has not come out directly against her.

A powerful council of bishops is to meet on Tuesday, however, to discuss the political situation.

Arroyo was reportedly warned last year about possible corrupt dealings with the ZTE Corporation, but signed the contract anyway, only to cancel it five months later.

The Philippine senate has launched an investigation into the case.

Arroyo has warned rivals against any attempts to remove her from power, saying a people's revolt for the third time would hurt the country politically and economically.
She said: "We all know I am not perfect ... but I have worked hard every day to achieve positive and lasting change for the nation."

Thousands disagreed with her, apparently, with between 4,500 and 6,000 marching on the streets of the capital, Manila, on Monday, and

smaller crowds demonstrating in other cities.

The protests were all held peacefully amid tight security.

Estrada joins chorus

None of the anti-Arroyo rallies has so far reached the scale that forced two former presidents - Joseph Estrada and Ferdinand Marcos - out of office.

Estrada, the last Philippine president to be forced from office in a "people power" revolt, told Al Jazeera: "If the people don't like her anymore, well it's time to go."

He said people felt that Arroyo had been insulting and fooling them throughout her presidency, and that now they had reached a limit.

"That is why so many different organisations are asking her to resign," added Estrada, a former film actor, who remains hugely popular among the masses despite being convicted of "plunder" in September last year.



lunedì 18 febbraio 2008

Jean-Loup Amselle

Nella Francia di Sarkozyla politica parla di nuovo di razza
La lectio magistralis che l'antropologo francese Jean-Loup Amselle terrà oggi all'università di Roma Tre.
Nella societàd'Oltralpe i rapporti si etnicizzano. Ma anche il multiculturalismo che seduce la sinistra riconferma il ruolo delle comunità etniche Jean-Loup Amselle è direttore di studi all'Ecole des hautes etudes per le scienze socialidi Parigi ed è caporedattore dei "Cahiers d'etudes africaines".
Il suo ultimo libro pubblicato in Italia da Meltemi è "L'invenzione dell'etnia". La lectio magistralis ha per titolo "L'etnicizzazione del sociale". Sarà pronunciata oggi alle 15 all'università di Roma Tre (aula 1 della facoltà di scienze della formazione, piazza della Repubblica 10, Roma).
Jean-Loup Amselle
Tratterò essenzialmente del caso della Francia del dopoguerra e dei cambiamenti che vi si possono osservare in relazione ai modelli di intelligibilità del sociale. La congiuntura attuale segnata dall'elezione il 6 maggio 2007 di Nicolas Sarkozy alla Presidenza della Repubblica, si traduce nella progressiva affermazione delle idee di "razza", di etnicità e di biologizzazione dei rapporti sociali.Ecco alcuni esempi: la creazione del Ministero dell'identità Nazionale, dell'immigrazione e del co-sviluppo; la vicenda dei test del Dna per provare la discendenza in materia di ricongiungimento familiare, la sola forma di immigrazione legale; la creazione dell'istituto di ricerca sull'Immigrazione e l'Integrazione presieduto da Hélène Carrère d'Encausse, accademica che si è resa tristemente celebre per le sue dichiarazioni apertamente razziste in occasione della crisi delle banlieues del novembre 2005, crisi a suo dire dovuta al fatto che i giovani protagonisti della rivolta provenivano da famiglie poligame; la creazione dell'immigrazione per quote; la creazione e la successiva soppressione da parte del Consiglio Costituzionale, nel novembre 2007, delle Statistiche etniche.In questo quadro è all'opera, per riprendere Foucault, un'estensione della bio-politica e di una politica di sorveglianza che si è potuta osservare a questo proposito, nel novembre 2007. Il caso di Villiers-le-Bel, periferia parigina in preda a scontri violenti fra manifestanti e forze dell'ordine, in cui si può parlare dell'instaurazione, come direbbe Giorgio Agamben, di un "vero stato di eccezione", dimostra efficacemente la vera natura ed i limiti della democrazia in Francia. Ma il fatto più paradossale è che i due aspetti di questa politica (bio-potere e sorveglianza), che traducono la presenza delle idee di Le Pen nelle sfere al potere e che ricadono dunque nell'ambito della critica foucaultiana, si trovano allo stesso tempo sostenute, in un certo qual modo, dalla concomitante affermazione delle idee postcoloniali, idee queste stesse derivate, in parte, dalla cosiddetta "French Theory", ovvero la ricezione "interessata" in ambito statunitense di alcuni elementi di un panorama intellettuale transoceanico. Si può leggere in questo senso l'utilizzazione in chiave postmoderna e multiculturalista di alcuni autori come Derrida, Foucault, Bourdieu solo per citarne alcuni. La cosa curiosa è che oggi queste stesse idee vengono rimpatriate nella Francia contemporanea come idee innovatrici e in chiave post repubblicana per superare il cosidetto imperialismo repubblicano.In effetti è sulla base della decostruzione delle grandi narrazioni del secolo dei Lumi - la narrazione repubblicana e quella della lotta di classe - che si è potuto sviluppare a sinistra o in una parte di essa, come avrò modo di approfondire nella corso della Lectio, un racconto postcoloniale fondato sul riconoscimento, in un contesto multiculturale, dell'etnicità, della "razza", del colore della pelle, o per meglio dire delle "minoranze visibili".Quello che sto dicendo a proposito della Francia si può ugualmente applicare al caso italiano come dimostrano le recenti analisi di Francesco Pompeo nel lavoro da lui curato dal titolo La società di tutti. Multiculturalismo e politiche dell'identità edito da Meltemi. Nel caso francese come in quello italiano, si può osservare che le nozioni di cultura, etnicità e multiculturalismo hanno per effetto, al di là del riconoscimento della o delle differenza/e - della "diversità" come si dice in Francia- di riconfermare indirettamente l'identità nazionale "bianca" dominante.Tornando più precisamente al caso francese, attualmente si può osservare la convergenza delle idee di "razza", etnicità e bio-politica tra la destra, soprattutto quella estrema come nel caso di Brice Hortefeux, Ministro dell'identità nazionale, dell'immigrazione e del co-sviluppo, e la sinistra multiculturale e post-coloniale, le quali entrambe, per ragioni opposte, si trovano a rivendicare il principio della "razza" come elemento che struttura la società francese.L'emergere in tutti e due gli schieramenti del principio della "razza" rende la lotta antirazzista, essa stessa squalificata da Pierre-André Taguieff all'inizio degli anni '90, in nome dell'anti-anti razzismo (i repubblicani universalisti ci dicono che la "razza" non esiste ma che le discriminazioni razziali verso neri e arabi-beurs in particolare mostrano bene che la categoria della "razza" esiste davvero), molto difficile da praticare.In effetti, la sinistra offre un fronte frammentato dinanzi alla presenza di membri delle "minoranze visibili" al governo come Rashida Dati, Ministro della giustizia; Fatela Amara, Segretaria di stato alla città e Rama Yade, Segretaria di stato ai diritti dell'uomo. Tale presenza si coniuga peraltro con una forsennata difesa dell'identità francese.Se un certo fronte si è potuto costituire, per esempio, in opposizione alla creazione dell'Istituto delle ricerche sull'immigrazione e l'integrazione, esso si sgretola quando si tratta dell'introduzione delle statistiche etniche.Da una parte vi sono quelli che si richiamano alla visione repubblicana universalista francese, fra i quali mi collocherei (Sos Razzismo, movimento contro il razzismo, l'antisemitismo e per la pace, la Lega dei diritti dell'uomo, la Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo) che militano in favore di un impegno repubblicano contro le discriminazioni, ovvero coloro che considerano prioritaria la lotta contro il razzismo e contro quelli che discriminano piuttosto che intervenire dal lato dei discriminati. È per questo che si battono contro l'impiego di statistiche etniche nei censimenti e propongono come metodo alternativo di individuazione del razzismo il "testing" (pratica che consiste nell'inviare alcuni membri di "minoranza visibili" come blacks o beurs all'entrata delle discoteche per vedere se queste persone sono vittime di razzismo). Tuttavia alcuni tra coloro che si oppongono alle statistiche etniche, allo stesso tempo, fanno parte di organismi che militano per il riconoscimento delle "minoranze visibili" e di istituti ufficiali sull'immigrazione o di commissioni del governo incaricate di instaurare delle quote etniche.Dall'altra parte, si trova una sinistra multiculturale e postcoloniale che si impegna a favore delle "statistiche della diversità", unico mezzo per questa parte politica per combattere le discriminazioni o che stima che il riconoscimento dell'etnia e della "razza" costituiscano un fattore essenziale per spiegare la crisi delle banlieues del 2005.Alcuni membri di questa sinistra multiculturale peraltro collaborano con il governo, per esempio, per instaurare la "diversità" nell'insegnamento superiore.Tutto ciò mostra che la "razza" come l'etnicità hanno preso il ruolo principale nella lotta politica e che questi principi hanno fatto esplodere le divisioni destra-sinistra. Per altro l'elogio che il candidato Barack Obama ha fatto di Sarkozy non si indirizza alla sua politica in favore della diversità? L'etnico non è divenuto un derivativo che consente di evacuare il sociale?
15/02/2008 Liberazione

ayatollah piace il capitalismo

Nuove banche di investimenti e un vasto programma di privatizzazioni nel Paese
Sorpresa, agli ayatollah piace il capitalismo.
Così l'Iran si prepara alle elezioni politiche
Sabina Morandi
La notizia campeggiava ieri sulle prime pagine dei giornali economici di tutto il mondo: Teheran si prepara ad aprire tre nuove banche d'investimento, ufficialmente «per lottare contro le sanzioni» volute dagli Stati Uniti, come ha dichiarato Heidari Kord Zangeneh, ministro delle finanze ma soprattutto responsabile del vasto piano di privatizzazioni. Sì perché, in realtà, il progetto di privatizzare banche, industrie e telecomunicazioni è già in moto da parecchio tempo ed è proprio a causa del malcontento popolare suscitato dall'applicazione delle prime riforme economiche che si deve il successo dell'integralista Ahmadi Nejad. Ma la propaganda non deve far dimenticare che, sotto i proclami religiosi e patriottici, si agita quella che una volta si chiamava lotta di classe, perfino nell'Iran degli ayatollah. E se la suprema guida spirituale del Paese - attualmente Alì Khamenei - dichiara che la privatizzazione «è il modo più efficace» di controbattere alla «guerra economica» scatenata dall'Occidente, non lo fa solamente per strizzare l'occhio alle emergenti potenze asiatiche, invitate ad approfittare dei saldi delle grandi compagnie statali iraniane, ma è la testimonianza diretta che, anche in Iran, si sta consumando una lotta senza quartiere fra statalisti e fautori della globalizzazione.Com'è noto "l'altro" non è mai monolitico come sembra e non lo è nemmeno la Repubblica islamica che, va ricordato, è nata da una sollevazione popolare e non dai progetti del clero sciita tradizionale che all'epoca era quasi tutto in esilio. E' una distinzione importante che consente di cogliere contraddizioni e potenzialità di un esperimento del tutto nuovo, soprattutto per gli sciiti che sono sempre stati un po' gli outsider dell'Islam. Quelli che cacciarono lo Scià insieme ai partiti della sinistra e che poi sconfissero le correnti laiche, erano giovani estremamente politicizzati che volevano imporre la guida di un Islam radicale con forti connotazioni sociali anche contro la volontà dei clerici in esilio - ancora oggi alcuni alti esponenti tradizionalisti condannano la commistione tra religione e politica caratteristica dell'Iran. Ma gli estremisti vinsero e si rafforzarono durante la guerra con l'Iraq che legittimò l'autorità dei pasdaran pretendendo dall'esercito popolare dei volontari un tributo di sangue senza precedenti. Da allora il potere dei pasdaran è così cresciuto da dare vita a una sorta di "Stato nello Stato", forte del proprio complesso militare, industriale sociale ed economico. Alla morte di Khomeini, il posto di Guida suprema che era stato modellato sulla figura dell'ayatollah, restò vacante. Prima di nominare il suo successore, Ali Khamenei, venne messa in atto una riforma istituzionale che comportava un drastico ridimensionamento del rango e dell'autorità della Guida suprema, decisamente più limitati di quanto si ritenga in Occidente. La Repubblica islamica è retta in modo collegiale da una sorta di oligarchia che rappresenta gli interessi di vari strati della popolazione, secondo una modalità che riflette più le tradizioni persiane che quelle islamiche.Gli organi elettivi - il Parlamento, il presidente della Repubblica e l'Assemblea deglii esperti che elegge la Guida suprema - consentono la gestione collegiale del potere anche se tutto avviene in modo niente affatto trasparente. Il conflitto mai risolto dai tempi della rivoluzione del '79 è, come ovunque, quello fra gli interessi degli strati alti - i vecchi latifondisti e la nuova borghesia compradora - e quelli delle masse impoverite o rurali che non sono state toccate né dalla modernizzazione dello Scià né tantomeno dai profitti del petrolio. Le classi popolari avevano riversato le loro speranze di rivalsa sociale proprio nella rivoluzione islamica radicale ma sono stati duramente colpiti dagli effetti dalle riforme liberiste dell'economia. Non è un caso che la vittoria elettorale dell'attuale presidente sia arrivata dopo un periodo di profonde trasformazioni economiche che hanno ulteriormente impoverito gli strati più poveri. Abbiamo così il paradosso di una forza laica e popolare - appunto i pasdaran - che si contrappone ai tentativi di modernizzazione guidati dall'alto clero, culturalmente più vicino all'Occidente (almeno sull'economia) e decisamente più prudente nella politica internazionale. Il problema di Ahmadi Nejad è stato lo stesso di ogni leader radicale del pianeta: una volta salito al potere, nel 2005, si accorto che gli spazi per difendere una concezione purista della rivoluzione islamica erano quasi inesistenti a parte la sfera privata - vedi la stretta sui costumi e sulle donne - e il buon vecchio nazionalismo. Terreno su cui Bush si trova perfettamente a suo agio tanto da prendere la palla al balzo per alimentare l'ennesima crisi che, con perfetta simmetria, Washington usa per far dimenticare ai propri cittadini la catastrofe economica esattamente come fa il presidente iraniano in quel di Teheran. Ma in Iran la sicurezza nazionale viene presa molto sul serio e l'apparato non ha perdonato ad Ahmadi Nejad di avere esposto il paese alle ritorsioni occidentali. Nel 2007 il presidente si è dovuto impegnare a respingere gli attacchi di gran parte dell'establishment politico che sono culminati nella richiesta di impeachment formulata da alcuni gruppi parlamentari. Peccato che a Capitol Hill non abbiano fatto altrettanto.Le elezioni parlamentari di marzo potrebbero dare luogo a inaspettati cambiamenti anche perché il governo è in forte difficoltà, come si evince dalla pesante epurazione che sta esercitando sulle liste dei candidati. Malgrado ciò, i commentatori vedono queste elezioni come un'occasione per spostare gli equilibri parlamentari di nuovo a favore dei moderati, sempre naturalmente che le isterie occidentali non finiscano col dare una mano a un Ahmadi Nejad in evidente crisi di consenso. Ma, come Bush sa bene, le guerre fanno miracoli.
13/02/2008 Liberazione

domenica 17 febbraio 2008

Ritorno al «Porcellum»

Ritorno al «Porcellum», una legge fatta in tre
Camera, senato e italiani all'estero. A ciascuno il suo modello. Tra liste bloccate e candidature plurime, i cittadini non possono scelgliere chi li rappresenta ma solo il simbolo. E così il parlamento è nominato direttamente dai partiti
Matteo Bartocci

Alla fine si voterà con il tanto vituperato «Porcellum», ovvero la legge elettorale varata a maggioranza dal centrodestra alla fine del 2005. Una legge molto discutibile, soprattutto se consideriamo che l'Italia è l'unica democrazia occidentale in cui il primo partito (Fi) ha avuto solo il 23,7% dei voti (camera 2006) e l'unica in cui i due partiti principali (Fi e Ulivo) sfiorano insieme appena il 40% (senato 2006). Quando si parla di partiti «nanetti» è bene fare le proporzioni su questi «pseudo-giganti». Per i cittadini, il «porcellum» è la peggiore legge elettorale possibile. Per i partiti, invece, è una manna dal cielo.
Proviamo a fornire una bussola per orientarsi nel caos politico su alleanze, liste, candidati premier e premi di maggioranza.
Tecnicamente il «porcellum» è una legge proporzionale con il premio di maggioranza, garantisce cioè una governabilità certa almeno alla camera. E' bene ricordare che l'Italia è l'unico paese al mondo a usare il sistema del premio a livello nazionale.
Questa legge elettorale è una somma di tre sistemi di elezione molto diversi tra loro: uno per la camera dei deputati, un altro per il senato della Repubblica e un altro ancora per gli italiani all'estero. Ogni partito, entro il 9 marzo, dovrà depositare il proprio simbolo e programma elettorale dichiarando al ministero dell'Interno il proprio «capo della coalizione» (nomen omen) e l'eventuale alleanza (collegamento) ad altri partiti. Sulla scheda elettorale i simboli di partito coalizzati tra loro sono messi su un'unica riga. L'elettore fa una sola croce sul simbolo prescelto. I voti alla coalizione sono la pura somma dei partiti che ne fanno parte.
La camera dei deputati. Il sistema garantisce alla prima coalizione di partiti a livello nazionale (con l'esclusione della Val d'Aosta e degli italiani all'estero) almeno 340 deputati, cioè il 54% dei seggi (premio di maggioranza del 4%). Tutti gli altri si dividono proporzionalmente i 277 deputati restanti. Va da sè che se il vincente supera il 54% dei voti mantiene i seggi in più. Dei 13 seggi rimanenti uno va alla Val d'Aosta e 12 agli italiani all'estero, che votano con regole proprie. Paradossalmente è una legge più maggioritaria del «Mattarellum»: chi vince anche per un solo voto prende il 54% dei seggi. Nel 2006 l'Unione ha vinto per 24mila voti.
Le soglie di sbarramento. A Montecitorio sono tre gli ostacoli da superare. 1) le coalizioni (es: la Cdl) devono superare il 10% dei voti; 2) le liste singole (es. Pd o Sinistra) devono superare il 4% dei voti; 3) i partiti collegati in coalizione (es: la Lega) devono superare il 2% dei voti. In quest'ultimo caso la legge prevede perfino il ripescaggio del miglior partito sotto il 2% (es: l'Udeur). I seggi in premio vengono distribuiti proporzionalmente nella coalizione vincente.
Il senato della Repubblica. Il sistema è simile a quello della camera ma con un'eccezione decisiva. In ossequio alla Costituzione, il premio di maggioranza (a palazzo Madama del 5% e non del 4%) non è attribuito a livello nazionale ma a chi arriva primo nelle singole regioni. Meglio, in 17 di esse, perché c'è un sistema a parte in Molise, Trentino-Alto Adige e Val d'Aosta. Si tratta in sostanza di una sorta di «lotteria elettorale» basata su 17 premi regionali diversi.
Le soglie di sbarramento. Al senato sono molto più alte: il 20% per le coalizioni; l'8% per i singoli partiti; il 3% per i partiti coalizzati. Ecco spiegato perché almeno al senato la Sinistra arcobaleno non potrà mai presentarsi con i quattro simboli di partito: come coalizione dovrebbe raccogliere il voto di un italiano su cinque.
Gli italiani all'estero. Nel 2006 erano 2.700mila. Devono decidere se votare per corrispondenza o nell'ultimo comune italiano di residenza per eleggere 6 senatori e 12 deputati in quattro zone (Europa, Nord America, Sud America, resto del mondo). I seggi sono distribuiti con un proporzionale puro (quoziente naturale e più alti resti). A differenza che in Italia sono ammesse le preferenze.
Ci sono poi alcune previsioni generali non proprio brillanti.
Le «liste bloccate». I cittadini non scelgono chi li rappresenta ma votano solo il partito che preferiscono. Gli eletti perciò sono predeterminati dall'alto secondo l'ordine di presentazione nelle liste. Il risultato è che i candidati non fanno campagna elettorale nel territorio durante il voto ma prima del voto solo dentro i rispettivi partiti. Le loro capacità di mobilitazione sono irrilevanti: chi finisce in fondo alla lista è come se non esistesse, e chi è in cima anche se non è apprezzato sarà comunque eletto.
La nomina degli scrutatori. Una novità molto sottovalutata del «porcellum» è l'abolizione del sorteggio degli scrutatori. Dal 2006 essi sono nominati direttamente dai sindaci. E a proposito dei vecchi sospetti su brogli elettorali non è una scelta incoraggiante.
Le «candidature plurime». Ad aggravare il quadro, la legge consente a chiunque di candidarsi dappertutto (o alla camera o al senato). Come si ricorderà, Berlusconi o Bertinotti, per fare due esempi, nel 2006 si sono candidati in tutte le circoscrizioni della camera. Va da sé che sono stati eletti dappertutto e, come plurieletti, hanno potuto decidere dopo il voto chi fossero gli eletti al loro posto. Alla camera il 40% dei deputati deve la sua poltrona solo all'opzione finale dei vari leader: 38 deputati ne hanno incoronati quasi 250. Numeri che non cambiano a palazzo Madama: 22 plurieletti hanno scelto più di 50 senatori. Non c'è differenza tra ex Unione ed ex Cdl: entrambi i poli hanno usato questo sistema per oltre 150 parlamentari ciascuno. Con questi numeri, non è esagerato dire come fa Roberto D'Alimonte in un suo saggio recente sulle elezioni 2006 («Proporzionale ma non solo», Il mulino 2007): «Siamo diventati l'unico paese occidentale con un parlamento direttamente nominato dai partiti, prima delle elezioni grazie al meccanismo delle liste bloccate e dopo le elezioni dalle scelte dei leader grazie alle candidature plurime».

Manifesto 10 Febbrio 2008
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Febbraio-2008/art18.html

Il Brasile la conflittualità sindacale

I movimenti sociali e la teologia della Liberazione
In Brasile la conflittualità sindacale
resta alta, nonostante Lula

Pietro Orsatti
La storia sindacale brasiliana è estremamente complessa, anche perché è maturata in gran parte in clandestinità, durante i vent'anni di dittatura militare dissoltasi solo negli anni '80. E si intreccia, strettamente, con l'attuale scenario politico. L'attuale presidente della repubblica è stato un sindacalista e oppositore del regime militare. Nel 1978 Luiz Inácio "Lula" da Silva fu eletto presidente del sindacato dei lavoratori dell'acciaio di São Bernardo do Campo (una delle principali aree industriali metalmeccaniche dell'intera America latina) e, dopo essere stato imprigionato e aver trascorso un periodo in clandestinità, fondò l'associazione sindacale Central Única dos Trabalhadores (Cut), che oggi è il più grande sindacato dell'intero continente. E se non bastasse, sulla poltrona di ministro del lavoro siede Luis Marinho, per anni segretario nazionale della Cut.
Nonostante sia strettissimo il legame con l'attuale governo, la Cut non ha cercato in questi sei anni di presidenza Lula di avere un rapporto privilegiato e conciliante. Anzi, paradossalmente, la Cut (anche nel periodo della reggenza di Marinho prima del suo passaggio al governo) ha mantenuto una posizione radicalmente autonoma con le autorità governative federali. Certo, alcune iniziative del governo come il progetto Fome zero (fame zero) e quello contro la lotta al Trabalho escravo (contro le nuove forme di schiavitù nel nord del Paese) hanno avuto il totale appoggio e anche un apporto organizzativo capillare dalla Cut e dalle altre organizzazioni sindacali, ma la conflittualità su alcuni temi (salario, riforma agraria, sicurezza sul lavoro, politica dei trasporti, rimessa del debito estero e liberalizzazioni) è rimasta elevata.
Il concetto della "concertazione" è totalmente estraneo alla cultura sindacale brasiliana. Per fare un esempio, basti ricordare l'incredibile sciopero dei lavoratori bancari del 2004, durato due mesi, con un braccio di ferro perso miseramente dal governo che ha accettato tutti i punti delle rivendicazioni su orari e salari e contratti avanzati dalla Cut. Per due mesi l'intero sistema bancario rimase immobilizzato, congelato. Vennero garantite agli utenti solo le operazioni effettuate agli sportelli automatici e solo per somme minime. Soltanto gli sportelli postali (privatizzati) riuscirono a garantire un minimo di copertura delle esigenze di milioni di brasiliani.
Ma forse ancora più clamorosa fu la partecipazione della Cut alla Marcia per la riforma agraria promossa l'anno seguente dal Mst, il movimento dei Sem terra brasiliani che oggi, a tutti gli effetti, si delinea come un'organizzazione di rappresentanza sindacale contadina. Più di 15.000 persone marciarono attraverso il Brasile per 20 giorni fino alla capitale, Brasilia, per chiedere l'applicazione della riforma agraria, che nonostante fosse già regolata da una legge, era rimasta (e in parte lo è ancora) al palo di partenza per mancanza della copertura finanziaria. Anche in questa occasione Lula si vide costretto a cedere alle richieste dei lavoratori.
La saldatura fra Mst e Cut non è solo strategica, ma anche culturale. Entrambe nascono o sono state appoggiate da settori della chiesa che durante gli anni della dittatura fornivano, nei fatti, l'unica forma organizzata di resistenza al regime. In particolare due pastorali, quella operaia e quella della terra, offrirono appoggio e organizzazione a due nascenti organizzazioni laiche che, oggi, rappresentano l'ossatura dei movimenti sociali e sindacali brasiliani. Il modello iniziale è stato quello delle comunità di base della teologia della liberazione che, con gli anni, si è evoluto in strutture che raccolgono milioni di persone.
Anche nell'attuale fase economica brasiliana, con una drastica riduzione del debito, un maggior grado di inclusione sociale e una crescita economica di poco inferiore a quella indiana e cinese, la conflittualità" sindacale non si è "riassorbita". Nel 2007 sono state attuate dalla Cut più di 400 vertenze nazionali e locali (statuali). Di queste sono andate a buon fine circa 300 e una gran parte delle vertenze rimaste aperte sono in via di chiusura nei prossimi mesi. E' chiaro che il peso anche elettorale di questa organizzazione è enorme e perciò riesce a condizionare seriamente la politica, sia sul piano nazionale federale che statuale: quando parliamo della Cut parliamo di un blocco di voti di circa 12 milioni di persone, e per quanto riguarda lo Mst si parla di di poco meno di dieci milioni di voti. Queste due aree dei movimenti sociali sono per Lula non solo controparti conflittuali - entrambe le organizzazioni sono molto critiche verso le politiche di liberalizzazioni selvagge dell'attuale governo -, ma sono anche un bacino elettorale immenso, sul quale si basa gran parte del successo elettorale di questo presidente "operaio" sul serio, che porta addosso ancora i segni della fabbrica - ha perso un dito sotto una pressa - e che continua a voler trattare direttamente con le forze sociali, scavalcando e sovrapponendosi, spesso, ai ministri del proprio governo. Senza però mai confondere piani e ruoli.


03/02/2008

sabato 16 febbraio 2008

Trattato di Lisbona

http://europa.eu/lisbon_treaty/index_it.htm

Rainews 24

Incontri
http://www.rainews24.it/ran24/rubriche/incontri/default.asp

Libri
http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/speciali/libri/

venerdì 15 febbraio 2008

Die Linke

Il successo della Linke
cambia il panorama
politico in Germania

Paola Giaculli
Berlino
La Germania si sposta a sinistra. È questa l'analisi di autorevoli o popolari organi di stampa e osservatori politici, che vedono in DIE LINKE la vera novità di questa tornata elettorale. Per la prima volta il partito della sinistra entra in parlamenti di regioni dell'ovest. Già presente nella città stato di Brema, lo sfondamento in Bassa Sassonia con il 7,1%, ma soprattutto nella conservatrice Assia dove arriva al 5,1%, sono risultati clamorosi.
Lothar Bisky, presidente del partito insieme a Oskar Lafontaine ha definito il traguardo raggiunto la scorsa domenica «Una pietra miliare», ma soprattuto è un risultato che cambia le sorti della sinistra e addirittura del paese dove vige, ormai, un sistema a cinque partiti, e con l'insediamento definitivo a ovest di un partito a sinistra della socialdemocrazia, rappresenta una novità nella storia del dopoguerra. DIE LINKE si rafforza in virtù dei temi sociali che riesce a imporre nel dibattito politico, sospingendo la Spd più a sinistra, e che cerca, anche se gradualmente, di allontanarsi, dal neoliberismo assolutista che ha caratterizzato l'era Schröder. Politiche che hanno creato sfiducia anche nell'elettorato più fedele della Spd: prevedibile in un paese con uno stato sociale tradizionalmente forte e un tenore di vita medio abbastanza elevato, che si trova di fronte ad un impoverimento accelerato della popolazione e che colpisce soprattutto i ceti medi.
I toni razzisti, anticomunisti e populisti da guerra fredda ("LINKE riporta la Ddr e il muro", etc.), a cui il candidato CDU Koch, ormai ex governatore dell'Assia, aveva affidato la sua campagna elettorale, si sono rivelati un boomerang per il democristiano, comunque troppo aggressivo anche per il partito della cancelliera Angela Merkel. Il governatore CDU della bassa Sassonia Wulff, ha perso (42,5 contro 48,5), ma, a fronte anche di una SPD più defilata e in calo (da 33,4 a 30,3). In Assia, si mantiene in sella grazie alla sua moderazione. Tanto da spingere alcuni analisti conservatori a lamentarsi di uno spostamento a sinistra anche della CDU.
Si chiude così il ciclo inaugurato dall'ex cancelliere democristiano Kohl,artefice nel 1990 della riunificazione di fatto del paese, in realtà mancata con l'esclusione del popolo dell'est, che in gran parte affidava le proprie speranze alla Pds. A oltre 17 anni da quella annessione dell'ovest sull'est, l'anticomunismo è finalmente archiviato: in Assia per nove anni in mano alla CDU, contribuiscono al clamoroso 5,1% di DIE LINKE 16.000 ex votanti della CDU, 31.000 della Spd, 18.000 dei Verdi, 5.000 dei Liberali-FDP, 26.000 da altre formazioni minori e locali e altrettanti 26.000 dall'astensionismo. Oltre alla SPD, che raggiunge la CDU (36,7, +7,6, contro 36,8), anche DIE LINKE concorre quindi al crollo della CDU (-12). A "tirare" sono i temi sociali e ambientali, ed è per questo che l'elettorato premia sia SPD che DIE LINKE. Fallita quindi la logica del "voto utile": per cacciare Koch, non basta la Spd, nonstante la sua candidata, Andrea Ypsilanti, abbia da smpre osteggiato la famigerata Agenda 2010 di Schröder. Insomma, il voto alla DIE LINKE è utile sia ai numeri che alla politica, e il suo successo non ridimensiona quello della Spd.
È il partito di Bisky e Lafontaine che però ha cambiato le priorità: le sue campagne sul salario minimo, un'istruzione popolare e gratuita, contro la riforma delle pensioni e dei sussidi sociali, hanno suggerito alla SPD i suoi "nuovi" cavalli di battaglia elettorali. La situazione di stallo apparente sulla futura coalizione di governo, dovuta alla nuova ripartizione della "torta" parlamentare in Assia, per l'ingresso di DIE LINKE, deve far riflettere: prima o poi ci si dovrà rassegnare all'idea che è impossibile escludere a priori partiti entrati a pieno titolo in parlamento. È la politica a vincere, e infatti non ci sono i numeri sufficienti per una coalizione CDU-Liberali, né per SPD e Verdi (dal 10,1 al 7,5), mentre invece è ipotizzabile un asse rosso-rosso-verde (SPD-LINKE-Verdi), che Ypsilanti ha ottusamente escluso in partenza, confidando nel fatto che DIE LINKE sarebbe rimasta fuori. Del resto, a ben guardare, la maggioranza nel paese è a sinistra da tempo. E la große Koalition , come si vede, non gode certamente di un elevato indice di gradimento. Insomma o si cambiano le politiche o non si governa: Andrea Ypsilanti può anche voler sommare volgarmente mele e pere, ma, certamente, se governa con i liberali si può scordare la chiusura delle centrali nucleari, l'energia eolica e solare, l'istruzione popolare, il blocco delle speculazioni edilizie intorno all'ampliamento dell'aeroporto di Francoforte. Questo ragionamento potrebbe far riflettere anche chi in Italia, non vede di buon occhio il sistema elettorale tedesco.
Il successo della sinistra intercetta e porta in parlamento i bisogni e i desideri della maggior parte della popolazione tedesca, che al 70% è contro le missioni militari all'estero e critica le politiche antisociali. Non è un caso che i sondaggi rilevino che i conflitti sociali godono di un appoggio quasi incondizionato (comunque superiore al 60%): come nel caso dei pur lunghissimi scioperi dei macchinisti - una vera e propria rottura di un tabù in Germania - o del recente "scandalo" di Nokia che ha trasferito in Romania lo stabilimento tedesco di Bochum a fronte di un utile di 7,2 miliardi di euro nel 2007, due terzi in più rispetto all'anno precedente, gettando sul lastrico più di 2.000 lavoratori (indotto più di 4.000), dopo aver usufruito di sovvenzioni pubbliche per oltre 80 milioni di euro. Il disperato bisogno di giustizia sociale è alle origini del "terremoto" in atto in Germania. Come dice Lafontaine, «il clima politico e sociale è cambiato».

Liberazione
01/02/2008

Philippines on alert over protest

The Philippines is on high security alert as opposition supporters prepare for a rally demanding the resignation of the country's president, Gloria Macapagal Arroyo, over allegations of corruption.
Arroyo however appeared unperturbed with the assassination plots and political scandals, spending Valentine's Day singing a duet with Richard Carpenter of "The Carpenters" fame in Manila. Calling on opponents to end their politicking, she said corruption was part of life in the Philippines.
"It is a sad fact that the Philippines has a legacy of political corruption. While that legacy will not be erased overnight, we have made tremendous strides," Arroyo told investors, diplomats and industry leaders on Friday.

"We call on our political leaders of all parties and preferences to look to our future … to ensure stability for the sake of the nation."

A day earlier officials warned of plots to assassinate the president and bomb foreign embassies, a move critics say was intended to derail Friday's demonstrations.

The government, concerned about communist rebels planning to infiltrate the protests, brought armoured army reinforcements and set up checkpoints at key points across the city.
Captain Carlo Ferrer, a military spokesman, said intelligence reports indicated the rebels planned "to create confusion and chaos".

On Wednesday, the rebels vowed to intensify attacks to weaken the government.

Scare tactic

Organisers said the security alert was to stoppeople from attending the rally [AFP]
The assassination plot allegedly involved a sniper ready to attack when an opportunity arises, Hermogenes Esperon, the Philippines military chief of staff, said.

One of the protest organisers, Renato Reyes, scoffed at the allegations as a "very desperate tactic to create an atmosphere of terror" and prevent people from joining the protest.

Esperon denied the move was to scare people, saying that as security forces they have deemed it necessary to "come out in the open about our assessment of the situation".

Speaking to Al Jazeera, Ramon Casiple, executive director for the Institute for Political and Electoral Reform, said the political crisis is all about the government being the custodian of public money.

He said the Philippine economic progress has not been felt on the ground and there is a general perception that there is big-scale corruption within the government.

China link

In a related development, a leading Chinese telecommunications company implicated in the Philippines corruption allegations warned that the scandal could affect bilateral trade.

ZTE Corp allegedly offered huge kickbacks to a former Philippine elections chief and Arroyo's husband if they could clear a national broadband contract for the company.

Both men have denied the accusation, and Arroyo scrapped the deal last year.

Howard Xue, a ZTE spokesman, said the company "cannot allow itself to be dragged into any political circus" and dismissed an appearance at the Philippine senate hearing.
"ZTE has neither done anything wrong, nor has it bribed anyone to get this project," he said, noting that China has overtaken the US as the Philippines' biggest trade partner.
"This episode certainly brings unforeseeable negative influence on bilateral economic cooperation between China and Philippines."

http://english.aljazeera.net/NR/exeres/8935C1FC-090D-47D8-9364-7344C2C25F67.htm

domenica 3 febbraio 2008

Ciad

14/12/2007 ore 21.16 - “I tre principali movimenti della ribellione dell’est del Ciad, Unione delle forze per la democrazia e lo sviluppo (Ufdd), Ufdd–Fondamentale e Raggruppamento delle forze per il cambiamento (Rfc), hanno stretto un’alleanza allo scopo di rovesciare il governo del presidente Idriss Deby”. Lo ha confermato alla MISNA il portavoce dell’Ufdd, Hassan Boulmaye, secondo cui “l’alleanza prevede un coordinamento delle operazioni militari tra i tre gruppi” ed è stata conclusa mercoledì scorso durante una riunione a Hadjer Marfaïn, nei pressi della frontiera sudanese. Il portavoce ha aggiunto che l’accordo non prevede uno smantellamento dell’attuale assetto delle forze da combattimento dei tre gruppi, ma un “coordinamento a livello strategico” dei vertici militari. I combattimenti nell’est del paese, ripresi nelle scorse settimane, sono cominciati dopo che le principali fazioni ribelli, firmatarie il 25 ottobre a Sirte (Libia) di un accordo con il governo, ne avevano dichiarato l’annullamento denunciando il non rispetto dei patti da parte dell’esecutivo.

10/12/2007 10.14 - Una richiesta di organizzare una conferenza di pace per il Ciad è stata avanzata dal principale gruppo ribelle attivo nell’est del Paese, l’Unione delle forze per la democrazia e lo sviluppo (Ufdd), al governo austriaco. Lo riporta oggi la stampa austriaca, precisando che le Ufdd, il primo gruppo ribelle ad aver ripreso la lotta armata due settimane fa e ad averla interrotta negli ultimi giorni, ha scritto al ministro della Difesa austriaco chiedendo all’Europa di giocare un ruolo più ampio nel risolvere l’impasse attuale tra N’djamena e i movimenti armati che il mese scorso avevano sottoscritto un accordo di pace col governo e che, denunciandone la mancata applicazione, sono tornati negli ultimi giorni a riprendere le armi contro il presidente Idriss Deby. “Noi vorremmo dialogare con il presidente Deby ma nessuno è disposto a fare da mediatore”, aveva detto nei giorni scorsi alla MISNA Hassan Boulmaye, portavoce del movimento, aggiungendo: “Secondo noi, i più indicati per la mediazione potrebbero essere gli europei. Invece di precipitarsi ad inviare truppe sul terreno potrebbero piuttosto favorire il dialogo”. Intanto da circa 48 ore non si registrano notizie di nuovi scontri e gli ultimi presunti combattimenti, dato l’isolamento dell’area in cui governo e ribelli si affrontano è estremamente difficile ottenere conferme indipendenti, avrebbero coinvolto formazioni minori e finora sconosciute. Da registrare la defezione di alcune centinaia di ribelli del movimento della Concordia nazionale ciadiana (Cnt) avvenuta nel fine settimana. Secondo fonti vicine alla ribellione un comandante dissidente del movimento, isolato perché troppo “morbido” nei confronti del governo, ha lasciato le proprie basi oltre confine per consegnarsi all’esercito. [MZ]


4/12/2007 ore 12.19 - L’accordo di pace tra governo e gruppi ribelli è “definitivamente sorpassato”. Lo sostengono, dopo giorni di intensi combattimenti nell’est del paese, i ribelli dell’Unione delle forze per la democratizzazione e lo sviluppo (Ufdd), in una nota nella quale il movimento denuncia “l’atteggiamento irresponsabile dell’esecutivo” e il “rinvio alle calende greche dell’attuazione degli accordi di pace”. Secondo fonti militari, sarebbero tra i 200 e il 300 i soldati feriti trasportati questa settimana a N’djamena dagli ospedali di Abeche, principale centro abitato nel Ciad orientale. Gli scontri degli ultimi giorni, intanto, sui quali ribelli e esponenti di governo forniscono versioni contrastanti, si sarebbero concentrati nella zona di Hadjar Marfaine, regione montuosa al confine con i Sudan; nessun bilancio ufficiale è stato fornito dai ribelli, ma fonti militari parlano di centinaia di vittime tra le fila dei miliziani. Riguardo alla situazione sul campo, intanto, sarebbero terminati i combattimenti ripresi all’alba di oggi tra l’esercito regolare e i ribelli del Raggruppamento delle forze per il cambiamento (Rfc), esplosi nella regione di Biltine: i ribelli accusano l’esercito di aver attaccato le proprie postazioni e di aver scatenato violenti combattimenti “conclusisi con l’uccisione di numerosi soldati e la cattura di diversi prigionieri”. Questa mattina, l’ex primo ministro Jean Alingué Bawoyeu ha invitato il presidente Idriss Deby a “riprendere la strada del processo di pace in Ciad”. Esponente del raggruppamento dell’opposizione ‘Coordinamento dei partiti per la difesa della Costituzione’ (Cpdc), Bawoyeu ha sottolineato in un’intervista all’agenzia di stampa panafricana ‘Panapress’ che “gli attori di questa crisi devono incontrarsi e parlare tra di loro, perché la guerra non porterà ad una soluzione”. I combattimenti sono divampati nei giorni scorsi nell’est del paese dopo che le fazioni ribelli, firmatarie il 25 ottobre a Sirte (Libia) di un accordo con il governo, ne avevano dichiarato l’annullamento denunciando il non rispetto dei patti da parte dell’esecutivo. Ufdd e Rfc sono solo due delle numerose formazioni ribelli attive da quasi due anni nell’est del Ciad con lo scopo dichiarato di deporre il presidente Idriss Deby.

www.misna.org