domenica 23 maggio 2010

Strage in un asilo, altri dieci morti in Cina

In due mesi carneficine in cinque scuole, forse un fenomeno di emulazione

Matteo Alviti
Cinque attacchi in meno di due mesi. Il folle gesto di ieri, costato la vita a nove bambini di un asilo privato nel nord della Cina, nella provincia di Shaanxi, è solo l'ultimo di una scia di sangue innocente troppo lunga per essere cancellata.
Ieri mattina alle otto Wu Haunmin è entrato nell'asilo della città di Hanzhong con una mannaia. Si è portato via le vite di nove persone - cinque bambini e due bambine sotto i sei anni, il direttore dell'asilo Wu Hongying e sua madre ottantenne. Oltre ai cadaveri, la polizia locale ha contato altri undici bambini feriti, due dei quali in maniera grave.
Dopo aver commesso l'atroce delitto, il quarantottenne Wu Huanmin è tornato a casa e si è suicidato. Secondo l'agenzia stampa cinese Xinhua i motivi del gesto non sarebbero ancora stati chiariti del tutto. Da un'indagine preliminare della polizia è emerso però che Wu aveva affittato senza il permesso governativo al direttore scolastico l'appartamento adibito ad asilo e che la vittima non aveva liberato la proprietà ad aprile, quando il contratto era scaduto.
L'attacco omicida di ieri porta a diciassette il numero totale delle vittime dalla prima strage di marzo, con più di ottanta feriti. Il 30 aprile nella provincia orientale di Shandong un contadino aveva attaccato a martellate un gruppo di bambini, ferendone cinque, prima di darsi fuoco e morire. Solo il giorno prima un disoccupato ventinovenne aveva ferito ventinove bambini e tre adulti con un coltello per scannare i maiali nella città orientale di Taixing, nella vicina provincia di Jiangsu. La stessa settimana un insegnante trentatreenne con disturbi mentali aveva ferito 15 studenti e un insegnante armato di coltello in una scuola elementare della provincia meridionale del Guangdong. Il 23 marzo, primo delitto della serie, un ex dottore stravolto dalla rottura con la sua futura sposa - giustiziato il mese scorso -, ha pugnalato otto bambini a morte, ferendone altri cinque.
Sia il presidente Hu Jintao che il primo ministro Wen Jiabao, già prima di quest'ultimo attacco, avevano annunciato misure per proteggere i bambini nelle scuole. Ieri si sono aggiunti anche gli appelli dei ministri dell'istruzione e della pubblica sicurezza. Sarebbero aumentati i controlli di polizia intorno alle scuole e l'attenzione verso soggetti notoriamente instabili.
Che cosa sta succedendo? Perché tale accanimento contro i bambini, in un paese che tra l'altro quasi riverisce l'infanzia, soprattutto dopo l'introduzione della politica di limitazione delle nascite, alla fine degli anni settanta?
Da una parte potrebbe essere semplicemente un fenomeno di emulazione criminale, come è già successo negli Stati Uniti dopo Columbine - e per questo le notizie sul crimine in Cina sono state ridotte al minimo. Ma se si guarda ai presunti motivi che avrebbero mosso queste persone, si può azzardare un'interpretazione. Che fosse un matrimonio fallito, un sequestro di beni ritenuto ingiustificato, piuttosto che un problema di proprietà, dietro ai gesti sconsiderati di quegli uomini c'era una protesta contro un'ingiustizia subita. Coinvolgere e punire innocenti - come gli assassini stessi credevano di essere - sembra essere stati il modo più eclatante per attirare l'attenzione.
Sono gesti nuovi per un paese come la Cina, dove tradizionalmente è il suicidio a essere visto come la massima forma di protesta per attirare l'attenzione - e dove ogni anno durante la festa delle barche drago, il paese celebra il suicidio rituale dell'allora ministro Qu Yuan, contro la corruzione dell'epoca, il terzo secolo a.C.
Ma «la Cina è cambiata», ha spiegato al Telegraph Teng Wuxiao, professore di Scienze sociali all'università Fudan, a Shanghai. «E molti non trovano più il loro posto nella nuova società. Alcune di queste persone tendono a diventare violente e aggrediscono per ragioni molto pretestuose, a volte senza alcuna ragione. Hanno perso il rispetto per la vita». I crimini violenti e i disturbi mentali sono cresciuti negli anni, con il cambiamento della società. L'agenzia Afp cita uno studio secondo cui in Cina ci sarebbero 173 milioni di adulti con problemi psichici, il 91% dei quali non ha mai ricevuto aiuto.
«La nostra è una società malata», commenta Zhou Xiaozheng, ex professore di Sociologia all'università di Pechino. «Soffriamo per la corruzione, la distribuzione ineguale delle risorse e un sistema giudiziario ingiusto. Queste sono cose che attaccano il sistema immunitario di una società».

Liberazione 13/05/2010, pag 4

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