martedì 17 agosto 2010

"Plotone chimico". Un italiano rivive l'invasione dell'Etiopia

Il diario di Alessandro Boaglio, curato dal figlio e dallo storico Matteo Dominioni

Stefano Galieni
Il sergente maggiore Alessandro Boaglio operava in un reparto chimico del Regio Esercito e il 22 ottobre del 1936 era arrivato in Eritrea, a Massaua, dove cominciava la sua esperienza militare coloniale. Aveva 22 anni. Due mesi dopo venne inviato in Etiopia, ad Addis Abeba. Lui ed altri portavano con sé gli apparecchi per l'irrorazione dell'iprite e dei nebiogeni, i gas e i liquidi venefici utilizzati durante l'invasione del paese erano già pronti, già in parte utilizzati. Il sottufficiale vive le fasi alterne dell'occupazione, l'attentato contro il viceré Rodolfo Graziani nel febbraio 1937, la brutale repressione che ne segue (almeno 11 mila morti in 3 giorni) e partecipa, due anni dopo attivamente a quella che resterà per decenni una strage dimenticata, la strage della grotta di Zeret. La grotta era situata in una zona impervia dell'Alto Scioa, vi avevano trovato rifugio soprattutto donne, vecchi e bambini sfuggiti alle rappresaglie, vennero utilizzati muli ed asini per portare i contenitori di iprite allo stato liquido, si scatenò il panico. Gli uomini, circa 800, vennero fucilati sul posto, molte donne e bambini morirono a causa degli effetti micidiali dell'arma letale e infida. Si stima che in quell'occasione siano morte almeno 2mila persone.
Matteo Dominioni, storico del colonialismo italiano, aveva portato già alla luce questa ennesima pagina nera della storia italiana nel suo volume Lo Sfascio dell'Impero (Laterza). Il volume era pronto in bozze, di questo eccidio dimenticato erano già state proposte anticipazioni dalle pagine di grandi quotidiani, quando Dominioni, come racconta lui stesso nell'introduzione di Plotone chimico. Cronoche abissine di una generazione scomoda (Mimesis, pp.172, 12 euro) , ricevette una telefonata che lo lasciò di sasso: «Mi chiamo Giovanni Boaglio e sono il figlio della persona che usò il gas nella grotta di Zeret. Ho sempre saputo dell'esistenza della grotta. Mio padre ha lasciato un diario in cui parla di quella strage». Plotone chimico, il diario di Alessandro Boaglio, curato dal figlio Giovanni e dallo stesso Dominioni, non racconta soltanto di un orrendo crimine. È un documento unico nel suo genere. Scritto dopo il ritorno in Italia, redatto presumibilmente fra la prima metà degli anni Cinquanta e l'aprile 1958, frutto di lunghe e di certo anche amare riflessioni e di una rielaborazione profonda e sofferta, rappresenta la scelta di non rimuovere ciò che all'epoca era più facile far cadere nell'oblio. Alessandro Boaglio racconta senza omissioni, rifiuta una narrazione giustificazionista del proprio operato, non cerca di scaricare le proprie responsabilità sui superiori. Non deve essere stato facile descriversi nell'atto di far cadere i bidoni di iprite mentre si è appesi ad una corda su un dirupo: l'autore lo fa senza chiedere né commiserazione né pietà, non chiede a chi legge di immedesimarsi, non vuole, come carnefice, essere giustificato e compreso. Vuole far conoscere.
C'è del rigore in questa testimonianza, ma c'è anche la consapevolezza di aver combattuto una guerra impari contro un popolo che aveva il sacrosanto diritto di ribellarsi al dominio coloniale, definisce i patrioti etiopi fatti impiccare a monito nella piazza come «eroi dell'altra parte» e, durante la sua permanenza in colonia, tenta di capire, anche con umiltà, con gli strumenti della propria cultura e della propria epoca, chi sono gli altri contro cui sta combattendo. Ne esce un testo carico di rispetto. L'autore sembra volersi immergere nel mondo in cui si trova cercando di relazionarsi con le persone, pur consapevole di essere percepito come occupante anche se accettato come ospite. Si prodiga in interventi rudimentali di medicina, cerca di imparare l'amarico, narra con asciutta capacità descrittiva anche i vizi dei compatrioti occupanti, irride nell'evidenziare come le leggi razziali (che proibivano le relazioni sentimentali o sessuali fra indigeni e italiani) venissero apertamente trasgredite. Racconta con ironia di missioni militari inutili, descrive lo stato maggiore inviato in osservazione durante una battaglia con sarcasmo, si lascia prendere dal ricordo affettuoso di un matrimonio in cui, invitato come ospite, viene trattato alla stregua di un familiare. Giorni passati in una Addis Abeba apparentemente pacificata mentre il controllo del vasto territorio etiope mostrava in continuazione instabilità e vulnerabilità.
L'incanto della vita coloniale si interrompe la mattina del 19 febbraio 1937, quando due giovani patrioti etiopi riescono a ferire gravemente Graziani. Da quel momento nulla è come prima, la rappresaglia feroce e indiscriminata che si abbatte sulla popolazione inerme segna un punto di non ritorno, addirittura Boaglio viene inviato a far parte di pattuglie volontarie per fermare la carneficina e anche lì non è reticente, racconta dei corpi di uomini donne e bambini buttati dai burroni. Ma il documento più straordinario dell'intero testo è quel terribile capitolo 9 dal titolo emblematico "Il cammino della civiltà". Qui il racconto si fa meticoloso e la ricostruzione dà l'idea di un sogno o di un incubo rivissuto chissà quante volte. Il 30 marzo del 1939 l'aeronautica aveva avvistato un gruppo consistente di patrioti etiopi che venne inseguito da una colonna. Nei rapporti ufficiali la carovana intercettata venne definita come «il reparto salmerie di Abebè Aregai, uno dei capi della guerriglia»; in realtà si trattava di vecchi, feriti, servi, donne, bambini, sbandati in fuga, insomma, alla ricerca di un riparo. Raggiunsero una grotta ampia e ben protetta e vennero assediati, su ordine del generale Lorenzini. A comandare le operazioni il tenente colonnello Gennaro Sora, nel 1926 tra gli "eroi" che salvarono i superstiti della missione Nobile al Polo e tutt'ora ricordato come un ufficiale rispettoso e amato dalle popolazioni contro cui combatté in Africa. Fra il 9 e l'11 aprile si consumarono l'assedio e il criminale eccidio. Il racconto dell'assedio alla grotta è un pugno nello stomaco: fra gente che urla e che muore una donna partorisce un bimbo; a lui in maniera letteraria Boaglio àa la parola: «Quanto sangue, quanto sterminio, quanti morti, e vi affannate a sgozzare, a uccidere, ad annientare…e io nasco. E non mi fermerete e crescerò e con me milioni di altri esseri nasceranno dal sangue innocente, dal sangue dei padri trucidati e trionferemo perché la giustizia è con noi».
Fino a pochi anni fa c'era ancora chi giurava che in Africa si erano portati democrazia e civiltà, strade e medicina, fino a pochi anni fa ancora autorevoli intellettuali negavano l'uso dei gas e delle stragi di civili. I primi resoconti di chi aveva partecipato alle fasi salienti dell'occupazione italiana dell'Etiopia ignoravano o sminuivano i momenti più crudeli del conflitto e quando storici come Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Nicola Labanca hanno cominciato a produrre testi preziosi, frutto di studi e ricerche inoppugnabili, il dibattito sul colonialismo italiano si è sovente spostato sul terreno ideologico: per alcuni un colonialismo di velluto, per altri il più violento e razzista. Dominioni è partito da ricerche archivistiche originali, si è incontrato con la narrazione di Alessandro Boaglio, e ha provato a riportare il dibattito nei giusti termini. Quelli di una guerra coloniale asimmetrica per quanto riguarda i mezzi e le forze dell'occupante, combattuta con ogni mezzo e alla fine persa, non solo per l'avanzata britannica quanto per l'impossibilità a contrastare sul campo un fenomeno come quello della guerriglia. A farne le spese i civili, i più vulnerabili, come spesso accade nei conflitti contemporanei.
Alessandro Boaglio è morto a 80 anni, dopo essere tornato invalido in Italia, a causa del contatto con l'iprite; ha svolto vari lavori fino a trovare occupazione in Fiat. Le sue memorie oggi rese pubbliche non sono solo un prezioso documento storico: dalla lettura emerge un profondo odio per la guerra. Certo, la percezione di ciò che gli accade intorno sembra permeata di un immaginario che attinge al western hollywoodiano, c'è la minuziosa descrizione di paesaggi, emozioni, tratti particolari, la curiosità per le tradizioni e le persone, il bisogno di attraversare una cultura altra, di cui si coglie quasi istintivamente la ricchezza, e contemporaneamente la voglia di far conoscere la propria, l'idea di scambio e di incontro. Un'idea ingenua, impossibile da coltivare mentre la spietata macchina militare miete vittime, un'idea annientata dalla crudeltà della guerra. Chissà se gli anni trascorsi a scrivere e a meditare sul proprio passato, non siano serviti a Boaglio a maturare qualcosa di più forte e duraturo del rimorso per le vittime. Una riflessione più generale sulla natura umana, la cattiveria gratuita insita in ogni guerra, da cui oggi come ieri sarebbe prezioso trarre spunto per non ripetere errori che sovente diventano crimini.

Liberazione 15/08/2010, pag 9

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Titolo Lo sfascio dell'impero. Gli italiani in Etiopia (1936-1941)
Autore Dominioni Matteo
Prezzo € 22,00
Prezzi in altre valute

Dati 2008, XIII-366 p., brossura
Editore Laterza (collana Quadrante Laterza)

http://www.ibs.it/code/9788842085331/dominioni-matteo/sfascio-dell-impero-gli-italiani.html

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