venerdì 17 dicembre 2010

Video: Journeyman Pictures

http://www.journeyman.tv/

http://www.youtube.com/user/journeymanpictures

Journeyman Pictures is London's leading independent distributor of topical news features, documentaries and footage. We're like a video encyclopedia of the world. Use this web site to preview our latest films, as advertised in 'The Journeyman Weekly', or to search our archive of over 5,000 films. And now you can view documentaries on our high quality viewing platform here.

Jose Rizal group

http://groups.yahoo.com/group/RP-Rizal/

This is a discussion group related to the life and writings of Dr. Jose Rizal, national hero of the Philippines. We ask that all postings in the Messages section relate to Rizal's life, writings, or his influence in today's world.

giovedì 16 dicembre 2010

«C'è chi parla delle Ruby e chi dei movimenti reali»

Nicola Grigion
direttore di meltingpot.org

Stefano Galieni
Provi ad andare sul sito www.meltingpot.org e ti si spalanca davanti una quantità di notizie e di informazioni che difficilmente trovano posto nei maggiori quotidiani. «Un progetto nato nel 1996 e che ha accompagnato i cambiamenti dell'immigrazione in questo Paese - spiega Nicola Grigion che ne è il direttore - All'inizio tentavamo di comprendere soprattutto le caratteristiche della presenza migrante ma poi, anche con l'entrata in vigore della Bossi Fini, abbiamo cominciato a spiegare la legge e promuovere l'apertura di sportelli per i diritti. Ora le condizioni sono cambiate quindi seguiamo un mondo che è anche il nostro. Ci occupiamo di asilo, di respingimenti, di questioni legali, delle modificazioni dei processi migratori. Ci reggiamo in gran parte sul lavoro volontario di attivisti, avvocati e associazioni. La Sede è a Padova ma operiamo anche a Venezia, in collaborazione col servizio immigrazione del Comune che ha elaborato anche progetti innovativi e poi si è formata una rete di individui e di soggetti collettivi che ci permette di coprire l'intero territorio nazionale».
Melting pot dà notizie di mobilitazioni e iniziative antirazziste di movimento o dell'auto organizzazione migrante, ma nel contempo cerca di trovare e di mettere a disposizione gli strumenti giuridici per forzare le norme vigenti, avendo a cuore la estensione dei diritti a partire dai soggetti per cui questi sono più necessari. Formazione e informazione insomma ma con una caratteristica specifica: «A mio avviso realtà come la nostra e giornali come Liberazione - prosegue Nicola - non debbono avere il compito di convincere gli altri ma essere spazio di propulsione. Noi pensiamo che debbano coesistere due direzioni e due modalità parallele: da una parte il tentativo intorno alle leggi, fatto da tutti quelli che lavorano su queste tematiche, di fornire assistenza e aiuto ma anche di svolgere ricerca per approfondire, capire e forzare normative sull'immigrazione. Questa è una sfida che ci accomuna. Dall'altra dobbiamo, noi solo sul versante "migrazione" voi su contesti più ampi, produrre un ragionamento per e con i movimenti. Si tratta di una sfida di creatività e nel contempo di riaffermare la necessità dei movimenti sociali».
E qui ecco il ruolo di una informazione deviata, soprattutto su tematiche quali quelle connesse all'immigrazione: «Quante volte noi come voi ci siamo ritrovati a cercare di portare l'attenzione sul razzismo? - precisa Nicola - Però solo quando sono i movimenti reali ad agire, allora il nostro lavoro acquista spessore. Pensiamo alla "sanatoria truffa". Melting pot come Liberazione tante volte l'avevano già chiamata così ma solo oggi, dopo gli esempi di Brescia e Milano, che avete molto seguito, abbiamo gli strumenti per parlarne con più persone. La situazione è emersa perché degli immigrati si sono esposti. Qualcosa di simile è accaduto con i respingimenti e, ad esempio, non è ancora avvenuto sufficientemente attorno ai Cie. C'è chi detta l'agenda politica parlando delle "Rudy" o degli appartamenti e chi cerca, come noi e voi, di fare i conti con la realtà anche se a volte sembra uno sforzo immane. Un modo di fare che non riguarda solo l'immigrazione, ma rimanda alla ricomposizione dei conflitti. Nei giorni scorsi in copertina abbiamo scritto dell'importanza, anche per i migranti, di essere oggi (ieri, ndr) davanti a Montecitorio per dare la "sfiducia sociale" al governo e per ribadire l'importanza dei diritti dei migranti. E' una lotta che riguarda tutti noi che precipita in un contesto diverso rispetto a quello dell'"onda" ma si tratta di un concetto da tradurre materialmente. Oggi gli studenti si mescolano con gli operai di Melfi e di Pomigliano, ragionano dell'acqua come bene comune. Non si risolve in una vertenza con Maroni o con chi siederà al suo posto, deve cambiare il quadro politico realmente e sotto la spinta di un movimento. Nessun ministro regalerà permessi di soggiorno. La crisi scompone. Noi dobbiamo ricomporre a partire dalla specificità della condizione dei migranti come condizione più aspra di sfruttamento ma mirando a relazionarci con gli altri movimenti e valorizzando ciò che ci unisce. Parlo del mondo che vogliamo che deve essere un mondo di diritti in cui possiamo ritrovarci tutti».
E Nicola considera fra i diritti anche quello all'informazione, messa a rischio da tagli ai finanziamenti pubblici e dalla concentrazione dei grandi gruppi editoriali: «Il taglio dell'informazione, di questo tipo di informazione, quello che fanno Liberazione o Carta per intenderci, secondo me va paragonato ai tagli nei servizi minimi dei Comuni, ai progetti che venivano recepiti. I tagli sono ingiusti ma difficilmente evitabili. Vanno combattuti e nel contempo va tracciata una linea di demarcazione che rappresenta una sfida da raccogliere, tutti insieme. Dovete e dobbiamo trovare il modo di uscirne creativamente, trovare la maniera per far vivere insieme spazi di informazione e di circolazione di pensiero che abbiano proprie gambe. Una sfida che è la stessa dei movimenti. Trovare insomma le soluzioni per poter agire senza il timore che qualcuno, governi o gruppi editoriali, ci stacchi la spina da un momento all'altro. Può accadere solo se ci rimettiamo in movimento».

Liberazione 15/12/2010, pag 12

Kosovo, Thaci accusato di essere un capomafia

Inchiesta del Consiglio D'Europa getta pesanti ombre
Mentre si aspettano ancora i risultati ufficiali e si allunga l'ombra di brogli sulle elezioni che si sono tenute domenica in Kosovo e che hanno visto la vittoria del partito del premier Hashim Thaci altre più pesanti accuse piombono addosso al capo del governo del Kosovo. Secondo una inchiesta del Consiglio d'Europa Hashim Thaci sarebbe a capo di un gruppo mafioso responsabile di contrabbando di armi, droga e organi umani dall'est Europa.
Il rapporto pervenuto nelle mani del quotidiano britannico The Guardian, appare molto circostanziato. Due anni di inchiesta, tra le fonti citate Fbi e altri servizi di intelligence di altri paesi, si rivela che Hashim Thaci sarebbe il boss di una organizzazione che incominciò ad operare nel 1999 in piena guerra e che aproffittò di tutto questo per dare il via alla sua scalata politica.
Nel rapporto si fanno i nomi di alcuni personaggi molto vicino a Thaci che avrebbero trasferito prigionieri serbi oltre frontiera in Albania dove sarebbero stati uccisi per ottenerne i reni.
Proprio ieri a Pristina ha avuto inizio il processo contro un sospetto traffico di organi umani scoperto dalla polizia nel 2008. In questo caso si sostiene che le vittime erano persone povere ricoverate presso la clinica Medicus. Nel rapporto del Consiglio d'Europa questa clinica sarebbe collegata al traffico di organi organizzato dall'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) nel 2000.
Dick Marty, l'investigatore per i diritti umani presenterà il suo rapporto giovedì davanti ai rappresentati di 47 Stati in un incontro a Parigi. Nelle sue conclusioni Marty punta il dito contro la comunità internazionale che preferì ignorare le atrocità compiute dall'Uck, preferendo scegliere brevi periodi di tregua piuttosto che affrontare la realtà. Nell'inchiesta Marty identifica Thaci e altri quattro membri del gruppo di Drenica che avrebbero compiuto di persona "assassini, detenuto e torturato prigionieri per interrogarli". Sono le stesse persone che, sempre secondo il rapporto, da decenni detengono il potere politico in Kosovo con il pieno sostegno di molti stati occidentali. L'inchiesta cita altri "rapporti riservati di agenzie che combattono il traffico della droga in almeno 5 Stati e che identificano Thaci tra i capi del crimine organizzato dell'area".
Hashim Thaci, premier uscente kosovaro e che stando alle ultime proiezioni avrebbe vinto le elezioni legislative di domenica, è un ex comandante dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), la guerriglia indipendentista che combattè alla fine degli anni '90 contro le forze serbe di Slobodan Milosevic. Dopo la smilitarizzazione dell'Uck alla fine del 1999, con l'arrivo in Kosovo delle forze della Nato al termine della campagna di bombardamenti contro la Serbia e la fine della guerra, l'ex comandante Thaci si tolse la divisa militare con l'aquila nera sul braccio per indossare l'abito ingessato del politico.

Liberazione 15/12/2010, pag 7

Fabio Alberti: «Questa città non ne può più di Alemanno»

Parla il nuovo segretario romano di Rifondazione comunista
Francesco Ruggeri
«Com'è giovane questa manifestazione», dice Fabio Alberti, sfilando in corteo per la prima volta da segretario cittadino di Rifondazione comunista. E quella immagine gli resterà impressa. Anche alla fine di tutto. «La città sorrideva - spiega a Liberazione - almeno fino a che le cose non si sono incupite». Rifondazione è in diversi pezzi del grande corteo, tra i medi, tra gli universitari e tra i cittadini. Ci sono i consiglieri regionali - Ivano Peduzzi e Fabio Nobile, oltre a tutta la segreteria nazionale di Viale del Policlinico. «Domani ci vediamo per ragionarci meglio - annuncia Alberti - ma credo che vada segnalata la capacità del movimento di vedere oltre la fiducia a Berlusconi».
Dal partito (Alberti era in Dp dalla nascita fino al '91) al mondo della solidarietà (ha fondato UnPontePer la notte che l'Italia votò per la Guerra del Golfo) e ritorno. «Mica ero fuggito - ricorda - si può far politica in tanti posti e mi sembra utile, adesso, riportare quella esperienza in Rifondazione».
Eletto a grande maggioranza dal congresso straordinario di domenica scorsa, dopo un periodo di commissariamento, Alberti si trova di fronte alla necessità di imprimere un nuovo slancio al suo partito dopo anni di difficoltà interne. «Saremo subito, sabato prossimo, nelle piazze e nei mercati per chiedere le dimissioni di Alemanno - annuncia - Parentopoli (le assunzioni illecite in Atac, Ama e Acea, ndr) non è un'eccezione ma il paradigma di come il bene pubblico viene oggi piegato agli interessi di pochi. Far rispettare le regole era il compito di Alemanno».
Parliamo di politica. 37 circoli, 1200 iscritti, Rifondazione ha appena elaborato, in congresso, l'analisi di Roma a partire dal blocco sociale che la domina e non dagli schieramenti politici. Da qui la proposta di lavoro per un polo per Roma bene comune. «Non un cartello elettorale - avverte - ma una proposta rivolta alla società civile in tutte le sue articolazioni. I modi sono da pensare insieme ma credo ci sia la necessità per Rifondazione di rientrare nel cuore della società, nel pezzo che la vuole trasformare, a partire dall'opposizione alle Olimpiadi del 2020 che sono il progetto dei poteri forti. Il blocco sociale che domina la Capitale è agito da costruttori, immobiliaristi, massoneria e mafie e produce un coacervo di interessi e collusioni che attraversa tutta la scala sociale e costituisce la misura dell'egemonia delle destre. Insomma rendita, privatizzazioni, corruzione si alimentano anche di razzismo ed egoismo. Qualcuno arraffa e chi sta in basso cerca di salvarsi nelle logiche clientelari. Quello che serve non è solo la somma delle lotte ma un progetto di trasformazione. Roma si trasforma se i romani la trasformano».
Secondo Fabio Alberti e secondo il congresso, che ha adottato un documento finale a larghissima maggioranza (53 voti a favore, 6 astensioni, un contrario e un voto nullo), le risorse per «liberare Roma» ci sono: comitati di lavoratori stabili e precari, circoli di partito, l'associazionismo, i centri sociali, i gruppi d'acquisto solidali, i collettivi studenteschi, una parte del mondo religioso, che possono costituire insieme un «blocco sociale alternativo in nome di un progetto ambizioso di riconversione sociale, ambientale, culturale, una sorta di transizione verso un'altra città». Energia, mobilità, gestione dei rifiuti, saperi, riuso sociale del demanio, diritto alla casa, difesa dell'agro romano: il ragionamento del nuovo segretario romano di Rifondazione non lascia fuori alcun terreno tra quelli che, in totale autonomia, sono attraversati dai soggetti con cui il suo partito vuole interloquire. «Ci rivolgiamo innanzitutto - conclude - alle forze che, assieme a noi, hanno dato vita alla Federazione della sinistra. Alla costruzione di questa alternativa vogliamo dedicare il nostro lavoro nei prossimi anni, consapevoli di esserne solo una parte».

Liberazione 15/12/2010, pag 4

Ue pronta a riconoscere Palestina indipendente

I ministri europei degli Affari Esteri affermano di essere pronti «quando opportuno» a riconoscere uno Stato palestinese indipendente. La dichiarazione viene rilasciata in un momento di impasse per i negoziati di pace. Secondo il testo, l'Unione Europea è pronta a contribuire a una «soluzione negoziata» tra israeliani e palestinesi in un termine «di 12 mesi fissati dal Quartetto» sul vicino Oriente, e quindi da adesso fino al termine del 2011. La dichiarazione europea sarà approvata a breve nel corso di una riunione dei ministri.
Alla luce della situazione di stallo nei negoziati di pace, i palestinesi hanno iniziato a pensare a soluzioni alternative, tra cui il riconoscimento del loro stato sui confini del '67. Hanno ottenuto il riconoscimento di Brasile e Argentina, l'Uruguay imiterà i suoi vicini nel 2011.

Liberazione 14/12/2010, pag 6

I punti salienti del testo di Cancun

Un accordo non vincolante
Al termine di due settimane di negoziati e con una non-stop finale di due giorni, si è conclusa la XVI Conferenza dell'Onu sul Clima con una accordo che prevede qualche passo in avanti. Ecco alcuni elementi chiave, non vincolanti. La bozza è stata presentata dal Messico, che presidevea la conferenza in quanto Paese ospitante.
L'accordo sollecita «profondi tagli» nelle emissioni di anidride carbonica responsabili dell'effetto serra, per frenare l'aumento delle temperature a non più di 2 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali; e chiede uno studio su un rafforzamento dell'obiettivo (a 1,5 gradi) - chiede ai Paesi ricchi di ridurre le emissioni dal 25 al 40 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 (ma questo passaggio è in un gruppo di lavoro sul Protocollo di Kyoto, e quindi non coinvolge gli Usa, che non hanno mai firmato il trattato) -accetta di studiare nuovi meccanismi per aiutare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni di anidride carbonica e per discutere le proposte per il clima al prossimo grande appuntamento Onu, alla fine del 2011 in Sud-Africa
Aiuto ai Paesi in via di sviluppo: l'accordo dà vita a un nuovo organismo internazionale, il Green Climate Fund, per amministrare il denaro destinato dai Paesi ricchi alle nazioni più colpite dai cambiamenti climatici. L'Ue, il Giappone e gli Usa si sono impegnati a donare 100 miliardi di dollari all'anno a partire dal 2020, insieme a 30 miliardi di dollari in aiuti urgenti per il 2008-2012 - la gestione del fondo viene affidata temporaneamente e per i primi tre anni alla Banca Mondiale (la scelta ha suscitato molte critiche) - si crea un direttorio composto da 24 Paesi membri (scelti in maniera paritaria tra nazioni sviluppate e in via di sviluppo, insieme a rappresentanti dei piccoli Stati insulari più a rischio per i cambiamenti climatici) che gestiranno il Green Climate Fund; nasce il Climate Teechnology Center and Network per aiutare a distribuire il know-how tecnico che aiuti le nazioni in via di sviluppo a contenere le emissioni e ad adattarsi ai cambimenti climatici
Foreste: l'accordo dà ampio sostegno agli sforzi volti a ridurre la distruzione delle foreste; chiede ai Paesi in via di sviluppo dei piani anti-deforestazione -chiede a tutte le nazioni di rispettare i diritti delle popolazioni indigene.
Protocollo di Kyoto: L'accordo sposta a una fase futura la decisione se ci sarà o meno una seconda fase del Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012. Gli impegni della prima fase del protocollo di Kyoto prevedevono la riduzione dell'11-16 per cento rispetto ai livelli del 1990 per il periodo dal 2008 al 2012, mentre ora si propone che aumentino a una percentuale tra il 25 e il 40 per cento entro il 2020. Al 2012 pochi Paesi avranno raggiunto gli obiettivi fissati nel Protocollo e gli sforzi dovranno essere, se ci saranno, molto maggiori di quelli fatti fino ad oggi.

Liberazione 12/12/2010, pag 6

"Cemento 0", per dire no alla speculazione

Oggi manifestazione in VI Municipio a Roma
Una ventina di organizzazioni tra comitati di quartiere, centri sociali, associazioni culturali e antirazziste, di lavoratori in lotta e di stranieri (senegalesi, etiopi, bengalesi), assieme al circolo di Rifondazione Comunista di Torpignattara e quello di Sinistra Critica del Pigneto hanno costruito una manifestazione, "Il nostro territorio non è il Monopoli", che attraverserà oggi le vie principali del VI Municipio, con partenza da piazza Perestrello a Roma alle 10.
Lo slogan dell'iniziativa richiama l'obiettivo comune a tutti gli organizzatori: l'opzione "cemento 0", che vuol dire fermare le nuove costruzioni e la speculazione che minacciano i quartieri periferici della città e rischiano di far scomparire i pochi spazi verdi rimasti.
Al contrario, si reclamano più spazi per i bambini, una mobilità sostenibile, un maggiore sostegno alle attività culturali e il completamento di opere importanti, già deliberate in passato attraverso percorsi partecipati, come quelle previste nel contratto di quartiere Pigneto e la realizzazione della Piazza Perestrello. Opere in grado di restituire maggiore vivibilità ai cittadini della zona.
Rifondazione Comunista ha avuto un ruolo decisivo, in questa città, nell'ideare e portare avanti i Contratti di Quartiere, dal Pigneto alla Garbatella, luoghi dove più intensa è stata, ed è, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Nonostante alcune delusioni lo strumento Contratto di Quartiere rimane tra i pochi in grado di stimolare il coinvolgimento dei cittadini nell'adozione di scelte urbanistiche condivise e partecipate.
La riapertura del Cinema Aquila, uno dei pochissimi aperti in periferia e recuperato strappandolo alla banda della Magliana, la riqualificazione del Torrione, la realizzazione di una nuova struttura, a via Isidoro di Carace, nata come centro anziani, ma aperta a molteplici attività culturali del quartiere, la sistemazione viaria di un quadrante abbandonato da anni, la ricostruzione di un vecchio capannone industriale nell'area dell'ex Snia Viscosa destinato a fini sociali. Sono solo alcuni degli interventi realizzati nell'ambito del Contratto di quartiere Pigneto, che però ne prevedeva altri non meno importanti: la fermata FM1 del Pigneto, per il laboratorio di quartiere e la piazza telematica nei locali dell'ex Serono, in piena isola pedonale.
Proprio quest'ultimo, la realizzazione della Casa del Municipio, era quello più significativo del Contratto di quartiere, perché affermava la centralità della partecipazione dei cittadini e prefigurava successive ipotesi di trasformazione urbanistica e culturale del quartiere.
Quegli strumenti di partecipazione non attuati, in un quadro di gestione verticistica del governo della città, oggi risulterebbero decisivi nel contrastare il potere senza limiti della destra e costruirebbero un argine alla speculazione edilizia e non solo della borghesia palazzinara romana. La pretesa di privatizzare l'Acea prima ancora dello svolgimento del referendum sull'acqua pubblica ne è solo un esempio.
Ritornando ai problemi del quartiere, occorre aprire un dibattito sugli spazi e sul patrimonio pubblico esistente, per trovare in breve tempo una sede alternativa alla biblioteca dismessa e dare sostegno alle mille iniziative culturali e artistiche promosse nel Municipio. L'occupazione dei giovani di Generazione Precaria dello stabile dell'ex cinema Preneste ha avuto il merito di ridestare la giusta attenzione sul tema.
L'avvio della Casa del Municipio, magari proprio nei locali della ex fabbrica Serono, può svolgere un ruolo di raccordo tra istituzione e cittadini, consentendo di determinare scelte più idonee e di venire incontro agli interessi più avvertiti dalla comunità. Dare più senso e protagonismo alla partecipazione dei cittadini non potrà che rafforzare l'opposizione politica e sociale ai governi della destra, in tutte le sue articolazioni istituzionali: Comune, Regione, governo nazionale.
Circolo Torpignattara Roma

Liberazione 11/12/2010, pag 10

Tra museo e terrore "Storia dello Yemen" di Farian Sabahi

Unica repubblica della penisola araba, lo Yemen è il paese della regina di Saba (e anche della famiglia di Osama bin Laden) e la sua capitale Sana'a è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'unesco. Fino a circa cinquant'anni fa vi regnava una dinastia di Imam sciiti della corrente zaidita, e oggi nel paese sono in atto dinamiche potenzialmente destabilizzanti, tra cui la ribellione degli Huthi nel Nord, il movimento secessionista nel Sud e il terrorismo di matrice islamica, che si intrecciano alle tradizionali alleanze tribali. Per spiegare il presente è necessario conoscere la storia: è intorno a questa premessa che si sviluppa la Storia dello Yemen di Farian Sabahi pubblicata da Bruno Mondadori (pp. 272, euro 12,50). Docente di Storia dei Paesi islamici all'Università di Torino e Relazioni internazionali del Medio Oriente alla Facoltà di Scienze politiche e delle Relazioni internazionali dell'Università della Valle d'Aosta, Farian Sabahi è titolare del corso "L'Iran à travers son cinéma" all'Università di Ginevra e autrice di diversi saggi dedicati a questi temi, tra cui L'identità inquieta dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'Occidente (Il Saggiatore, 2006); Un'estate a Teheran (Laterza, 2006); Storia dell'Iran (Bruno Mondadori, 2009). Il volume è arricchito dalle testimonianze dei viaggiatori europei dell'Ottocento e del Novecento, ed è corredato da numerose schede di approfondimento (sulla società civile e il rispetto dei diritti umani, la condizione femminile, la minoranza ebraica, il qat, l'Islam zaidita e sciafeita praticati in Yemen).

Liberazione 11/12/2010, pag 8

Lo sceicco non vuole i rappers a Gaza

Hamas contro la musica. Il movimento fondamentalista vieta la musica ai giovani della striscia
Francesca Marretta
Gaza
Hamas vieta il rap a Gaza. L'ultimo concerto che gruppi come P.R. Palestinian rappers e The Black Unit hanno tenuto nella Striscia governata dagli islamisti risale all'estate del 2009. In quell'occasione le band del rap Made in Gaza suonarono a Khan Younis, davanti a cinquecento persone, in una struttura gestita dalle Nazioni Unite. Hamas, dicono Khaled Harara, 23 anni, leader dei Black Unit e Aiman Jamal Mghames, 25 anni, dei P.R. Palestinian rappers, «non capisce di cosa parliamo, pensano che vogliamo distruggere la tradizione o magari che c'interessano l'alcol, le donne o vestire all'occidentale. Non conoscono la storia dell'Hip-hop e del rap, che affondano le radici nella ribellione all'ingiustizia. Noi siamo la Cnn della strada, cantiamo quello che vediamo, e prima di tutto cantiamo contro l'occupazione israeliana».
Hip-hop e rap sono un fenomeno recente a Gaza, che avuto inizio nel 2003. Per questo dice Aiman, prima di ogni concerto, ho sempre spiegato l'origine di questi stili musicali. «Tutte le nostre canzoni raccontano Gaza» continua Aiman, con alcune varianti. «Se sono innamorato canto dell'amore a Gaza, se mi sento frustrato, della frustrazione». I due rapper sostengono di essre stanchi tanto di sentir chiamare i palestinesi "terroristi" che di vederli destinatari di aiuti internazionali. «Quello di cui abbiamo bisogno sono libertà e giustizia», dicono. Le loro canzoni diffondono il messaggio tramite la rete; «La nostra arte è resistenza». Il nome Black Unit, spiega Khaled, è stato scelto perché si sentono una forza speciale nell'esercito del rap. La sigla P.R. che precede Palestinian rappers, sta invece per "resistenza palestinese".
I duri e puri del movimento islamico al potere a Gaza considerano la musica dei gruppi rap e hip-hop, haram, peccato. Le espressioni artistiche e culturali che si discostano dalla tradizione e non hanno nulla a che fare con la religione e sono ogni giorno che passa sempre più sotto pressione nella Striscia. L'ultimo esempio del giro di vite imposto da Hamas, in questo senso, a Gaza, è la chiusura del centro culturale Shareq, cui sono seguiti arresti di ragazzi che manifestavano pacificamente contro i sigilli. In questa struttura si trova uno studio di registrazione nuovo di zecca. Che Aiman e Khaled avevano cominciato a utilizzare gratutamente, invece di dover pagare duecento dollari a canzone per una registrazione.
Questo è uno dei tanti aspetti dell'imposizione graduale della Sharia a Gaza da parte di Hamas. Ma sottovoce, senza editti pubblici. Tra le accuse mosse a chi è stato arrestato per aver preso parte alle attività del centro culturale Shareq, in cui si svolgono diverse attività creative a cui partecipano ragazzi e ragazze, finanziato da paesi europei, figurano l'offesa alla morale pubblica e la diffusione di materiale pornografico che sarebbe stato trovato su computer, non appartenenti al centro, ma personali, che la polizia di Hamas ha sequestrato. A Gaza, oggi, se un ragazzo è seduto a parlare con una ragazza può accadere che agenti in borghese si facciano avanti per chiedere che relazione ci sia tra i due. Se sono solo amici la famiglia della ragazza viene informata. Segue il suggerimento che non è bene, per una donna di Gaza, farsi vedere in giro con persone dell'altro sesso con cui non ci sia un legame di parentela o che sia il legittimo fidanzato (nel qual caso la cosa va provata con certificato sottoscritto da entrambe le famiglie).
Il motivo per cui la leadership di Hamas non viene allo scoperto sull'instaurazione di fatto della legge islamica è che l'ala moderata del movimento spera ancora in un'apertura dell'occidente verso il governo "de facto" guidato da Ismail Hanyieh. Contemporaneamente però, occorre soddisfare e tenere buona l'ala dura. Che è quella dominante nelle fazioni armate. E il potere di Hamas a Gaza, senza la forza, adesso, non potrebbe più reggersi. Ed ecco che il rap è diventato clandestino, pur cantando la resistenza all'occupazione.
La valvola di sfogo di rapper come Aiman e Khaled è la rete. La loro musica continua a diffondersi tramite Facebook e MySpace: «Le nostre canzoni sono ascoltate negli Stati Uniti. Lì c'è un altro rapper di Gaza, Mohammed al Farrah che la diffonde. Attraverso Internet abbiamo anche scambi con altri gruppi all'estero».
Il rap di Gaza, oltre a cantare l'oppressione del vivere in una terra senza frontiere aperte e in cui ci si può svegliare sotto le bombe, protesta contro la stupidità dei politici palestinesi, da quelli di Fatah a quelli di Hamas. «Ora come palestinesi abbiamo due governi. Nelle nostre canzoni gli diciamo quanto sono stati fessi a cadere nella trappola israeliana», dicono Khaled, alto, dalla stazza imponeente, occhi chiari e pizzetto e Aiman, faccia tonda, occhi castani e felpa col cappuccio.
I due giovani sono gazawi della diaspora. Rientrati nella Striscia, come tanti altri palestinesi residenti all'estero, ai tempi degli accordi di Oslo, sulla scia del ritorno di Arafat. Khaled è nato in Libano. Aiman in Tunisia. Forse sono diventati rappers perchè sono più avanti rispetto alla tradizione di Gaza, molto influenzata dalla cultura egiziana, dicono. Da qualche anno avevano cominciato a insegnare a ragazzi più giovani Hip-hop, rap e graffiti. Ma ora, con il black-out imposto da Hamas a questo tipo di espressioni artistiche, la rete resta l'unica speranza.
A Gaza, giovani come Khaled e Aiman, resistono come possono cercando di non uniformarsi a quel tipo di società islamica che Hamas sta gradualmente cercando di imporre. Continuano a suonare. E ora che non possono più sedere nei caffé con le loro ragazze, si siedono a tavoli diversi, parlandosi al telefono e scambiandosi occhiate a distanza. Oppure prendono un taxi. Corsa lunga, con lauta mancia, per tenersi la mano. «I palestinesi hanno pensato a ribellarsi contro l'occupazione. Ma non ancora contro l'oppressione sociale», dice Aiman. Passa il Narghile a Khaled, che annuisce e sorride, sognando di esibirsi ancora per il pubblico di Gaza.

Liberazione 11/12/2010, pag 8

Palazzo Polverini, la quinta notte dei "magnifici sette"

Contro i tagli della Regione Lazio il sostegno di 4000 persone in rappresentanza di decine di vertenze

Daniele Nalbone
Mentre si apprestano a trascorrere la quinta notte accampati su un'impalcatura al dodicesimo piano di Palazzo Polverini, i "magnifici sette" hanno ieri ricevuto la solidarietà e il sostegno di oltre 4mila persone in rappresentanza di decine di vertenze aperte su tutto il territorio della Regione Lazio. A nulla è valso lo show, più mediatico che altro, della Presidente Polverini che ieri mattina ha fatto visita agli attivisti-sindacalisti sul tetto. «Generiche le proposte, quasi "di circostanza": non scendiamo» ci ha spiegato Pio, uno dei "sette". Così 4mila voci hanno salutato chi «sta lottando per noi al dodicesimo piano di una regione ancora una volta blindata e che si difende dai suoi stessi cittadini» hanno spiegato i portavoce dei Movimenti uniti contro la crisi. La grande partecipazione alla manifestazione «è il segno - ci spiega il capogruppo del Prc, Ivano Peduzzi - di come, in questo countdown al 14 dicembre, la gente abbia ormai da tempo preso in mano la situazione. E lo ha fatto scendendo in piazza, salendo sui tetti, dando vita e forza alle lotte territoriali». In corteo, moltissimi giovani precari riuniti nel Coordinamento cittadino di lotta per il reddito, i lavoratori dei canili municipali, studenti medi e universitari ma anche molte vertenze lavorative. I numeri portati in piazza, ieri, dall'Unione sindacale di base (Usb) non lasciano spazio ad interpretazioni: «in questi giorni, mentre i sette sono accampati al dodicesimo piano della regione - denuncia Pierpaolo Leonardi dell'Usb - la Giunta ha approvato una finanziaria da 25 miliardi nella quale sono state azzerate le risorse per il reddito minimo garantito, per la cultura e le infrastrutture, mentre sono stati trasferiti al social housing e al mutuo sociale i cento milioni di euro una volta vincolati all'edilizia popolare». Come non bastasse, sul piano dell'occupazione, agli 85mila cassaintegrati, ai 2mila lavoratori socialmente utili senza contratto e alle migliaia di disoccupati "di lungo corso", da gennaio si aggiungeranno tutti quei precari che non si vedranno rinnovare i contratti scaduti, «di cui solo 2500 nella sanità pubblica». Queste vertenze, e molte altre, hanno così ieri assediato la Regione Lazio per la terza volta dal 25 novembre, giorno della manifestazione "dei 10 mila". Tra le tante realtà giunte ad assediare Palazzo Polverini, molti partiti dell'opposizione regionale, dai Verdi a Sinistra ecologia libertà fino alla Federazione della Sinistra che da due giorni ha appeso al presidio, tra i tanti a "firmare" le lotte presenti, uno striscione che racchiude in una frase tutta la (non) politica della Regione Lazio: «Polverini sindacalista dei poteri forti». Il corteo si è mosso intorno alle 17 dal presidio che ha attraversato tutto il quadrante di Garbatella-San Paolo, per far ritorno dai "magnifici sette". Dal tetto, tramite il megafono che funge da collegamento tra la lotta "in alto" e quella "in basso", gli attivisti-sindacalisti che da cinque giorni stanno vivendo in condizioni estremamente precarie di sicurezza e salute si dicono certi che questa lotta non finirà con una sconfitta: «finché, finché, finché non c'è risposta, noi, da qui, non ci si sposta». E' questo il coro che dà forza a tutto il presidio. «Perché siamo più noi, qui sotto, ad aver bisogno di loro lassù, che non il contrario».

Liberazione 11/12/2010, pag 6

Bolivia: in pensione a 58 anni. Morales firma la legge

Diventa legge in Bolivia la riforma che anticipa l'età pensionabile ai 58 anni di età, dagli attuali 65 anni previsti per gli uomini e i 60 per le donne. Il presidente boliviano, Evo Morales, l'ha promulgata non appena rientrato dal vertice sul clima di Cancun. La riforma pensioni è stata messa a punto in collaborazione con la dirigenza del sindacato unitario Central Obrera Boliviana. La nuova legge nazionalizza anche le due casse di fondi private e la nascita della "Gestora della Seguridad social", l'organismo che sostituirà le due casse di fondi private, la "Futuro de Bolivia" e la "Prevision" che erano operate dalla filiale della banca spagnola BBVA e dalla Zurich Financial Services a capitale svizzero.
Una riforma in controtendenza rispetto a numerosi paesi nel mondo, ma che, secondo i sostenitori, tiene conto che l'aspettativa di vita dei circa 10 milioni di boliviani che è di 66 anni. Per le donne -che secondo le norme attualmente in vigore vanno in pensione a 60 anni- la nuova legge prevede che le madri con oltre tre figli potranno andare in pensione a 55 anni. La nuova legge prevede inoltre la creazione di un "fondo di solidarietà" con il contributo di imprese e lavoratori che garantirà pensioni minime anche agli autonomi e a chi ha versato contributi volontari per 10 anni. Sulle barricate la federazione delle imprese boliviane che si è scagliata contro una riforma che ritiene "insostenibile". Entrerà in vigore a metà del prossimo anno.

Liberazione 11/12/2010, pag 4

Sta per scadere il divieto di "incroci" tra giornali e tv

La proroga della legge Gasparri, tra concentrazioni e conflitto di interessi

Beppe Lopez
E' "improprio vietare l'incrocio fra carta stampata e televisione". Non a caso lo ricorda anche l'editorialista di Repubblica (una conglomerata editoriale che, come la Rizzoli, da tempo aspira e un giorno o l'altro finirà con l'occuparsi al massimo livello anche di televisione commerciale, come già fa nei settori dei quotidiani, dei settimanali, dei mensili, dei libri, della radio, di internet e naturalmente, anzi in primis, della pubblicità). Perciò, tutti d'accordo, tutti in allarme, tutti meno Mediaset e Telecom: è assolutamente necessario, anzi ineludibile che il Parlamento in queste settimane, magari in sede di approvazione del mitico decreto "mille proroghe", decida di procrastinare oltre il 31 dicembre 2010 - termine fissato nella berlusconiana "legge Gasparri" del 2004 - il divieto per i proprietari di almeno due reti televisive nazionali analogiche di acquistare o fondare un quotidiano.
Nei giorni scorsi ha dovuto prendere carta e penna Corrado Calabrò, presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, per lanciare l'allarme, e per sollecitare Governo e Parlamento, che evidentemente si sono... dimenticati della scadenza, ad assumere un "provvedimento apposito" a protezione di quel che rimane "della concorrenza e del pluralismo" nel sistema informativo. Se non si provvedesse immediatamente - e il tempo a disposizione è davvero poco - "l'impero berlusconiano dal primo gennaio potrebbe estendersi al Corriere della Sera". E la Telecom, dopo La7 e Mtv, potrebbe assicurarsi la proprietà, per esempio, di Repubblica o del Messaggero...
E in effetti la prospettiva sarebbe assai inquietante. Però, ci si chiederà, non è già inquietante lo status attuale, in vigenza di quel divieto? E' indubbio che al peggio non c'è limite e che - alla barbarie attuale di cinque canali televisivi nazionali su sette, del più grande gruppo editoriale e pubblicitario, e del governo del Paese direttamente controllati e al controllo mediato già di almeno due quotidiani, da parte di un sol uomo - si aggiungerebbe l'imbarbarimento ulteriore della possibile acquisizione ufficiale di un'altra, grande testata. Ma la verità è che il problema, grosso come una montagna, già ce l'abbiamo in casa. E quel "divieto" non lo ha certo eliminato o solo attenuato.
Ecco cosa esattamente si legge nel comma 12 dell'art. 43 del Testo Unico della Televisione, varato con decreto legislativo del 31 luglio 2005, n. 177: "I soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete non possono, prima del 31 dicembre 2010, acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani. Il divieto si applica anche alle imprese controllate, controllanti o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile".
Ma è proprio con la normativa vigente, e con questo divieto (che non impedisce nemmeno il plateale controllo se non la sostanziale proprietà del quotidiano Il Giornale da parte del proprietario di Mediaset), che Berlusconi si è confermato e, se possibile, rafforzato - nonostante l'irruzione nel mercato italiano del monopolista della Tv satellitare Murdoch - come dominus del mercato televisivo e pubblicitario, mentre il mercato dei quotidiani veniva travolto dalla vocazione totalitaria della Rcs e del gruppo-Repubblica. Lì, come qui, si sono potentemente accentuati i fenomeni di concentrazione proprietaria, di omologazione informativa, di desertificazione dell'informazione locale, di progressivo restringimento (sino all'annullamento) delle iniziative editoriali indipendenti. Tutto questo, per quello che riguarda il mercato dei quotidiani, prendendosela - proprio loro, i grandi gruppi editoriali, che abusano della propria posizione dominante e di politiche commerciali particolarmente aggressive - con la mancata tutela statale di un settore in crisi perché, si sostiene, colpito dell'avvento di Internet e vittima della potenza e prepotenza televisiva.
In realtà, siamo di fronte a due fronti di uno stesso fenomeno: la concentrazione (sia per la Tv sia per l'informazione su carta). E non se ne esce con i pannicelli caldi del "divieto di incroci Tv-giornali", che peraltro non impedisce casi come quello del Giornale e non tiene conto nemmeno di altri protagonisti e mezzi tecnologici nel frattempo intervenuti con forza nello scenario televisivo nazionale, accanto alle reti analogiche, e cioè il digitale terrestre, satellitare e via cavo. Il problema di fondo rimane quello gigantesco del conflitto di interessi. Solo dopo aver rimosso questa emergenza, si potrà finalmente mettere mano ai problemi strutturali di questo settore, l'informazione, che per molti aspetti si intreccia e quasi si identifica con la democrazia. E si potrà procedere, ad esempio, alla definizione quantitativa e tipologica di misure antitrust capaci effettivamente di promuovere e tutelare il pluralismo. Accorgendosi, magari, che il vigente "divieto di incroci" è, oltre che inadeguato, innaturale. Gli incroci (giornali, tv, internet, ecc.) sembrano semmai da incoraggiare e comunque da non ostacolare. Consentono peraltro notevoli economie di scala ma soprattutto il naturale sviluppo, su diverse piattaforme, di professionalità e sensibilità per definizione "generaliste". I limiti hanno da essere quantitativi e riguardare principalmente la quota di risorse del mercato (pubblicità, vendite, abbonamenti, prodotti collaterali, ecc.) disponibili per un solo operatore.
Immediatamente dopo aver sgombrato il campo dal conflitto di interessi - o almeno dopo averlo più o meno decentemente regolato - la ricerca delle condizioni minime per un vero pluralismo degli operatori e delle "voci" dovrebbe inevitabilmente fare i conti e produrre la riforma del sistema televisivo; la ristrutturazione, il risanamento e il rilancio del servizio pubblico televisivo; l'introduzione di severi limiti e controlli anti-trust anche nel mercato dei quotidiani; la distinzione fra "editoria commerciale" e giornalismo d'impegno informativo o d'opinione, ai fini della riforma radicale dei contributi pubblici all'editoria...
Intanto, non è stato fatto nulla perché in Italia sorgessero e fossero incoraggiati veri editori, e perchè quasi tutte le testate quotidiane non finissero invece in mano a banchieri, finanzieri e industriali (che se ne servono per ben altri scopi che quelli meramente informativi o commerciali). Non possiamo probabilmente fare niente nel tempo breve perché, ad esempio, il Corriere della Sera possa tornare nelle mani di un vero editore. Ma almeno, in attesa di poter consentire e promuovere incroci virtuosi, cerchiamo di impedire la proliferazione e la legalizzazione di incroci sempre più perversamente e pesantemente al servizio della omologazione e manipolazione informativa...

Liberazione 10/12/2010, pag 5

Roma, oggi manifestano i movimenti del Lazio

Quarta notte sull'impalcatura del palazzo della Regione, Polverini non risponde
Daniele Nalbone
È tutto pronto per l'assedio di "Palazzo Polverini". Oggi, alle ore 16, decine di realtà in lotta in tutto il Lazio daranno vita a una grande manifestazione che partirà sotto la sede della Regione, in via Maria Drago Mazzini, a Roma, in solidarietà con i sette, tra precari, attivisti e sindacalisti, che da lunedì mattina hanno occupato le impalcature all'esterno del dodicesimo piano della sede regionale. Dal presidio che da quattro giorni è stato allestito sul piazzale antistante, giorno e notte, vengono mandati, tramite una lunga corda da scalata, cibo e bevande calde. «Il freddo e il vento non ci fiaccheranno» avvertono i sette: «finché la Polverini non ci incontrerà, dando vita a una serie di tavoli anticrisi per consentire la ripresa della nostra regione, non scenderemo». Da ieri mattina, i «magnifici sette», come sono ormai noti a tutta Italia, possono contare anche su un cavo di alimentazione per la corrente elettrica che consente agli occupanti di essere raggiungibili anche via internet, oltre ad avere una illuminazione permanente. Perché pur essendo in cima a un'impalcatura da lavoro, la situazione, lassù al dodicesimo piano, è tutt'altro che sicura. Proprio per accertarsi del livello di sicurezza, ieri pomeriggio, sei consiglieri regionali e provinciali sono saliti, «scortati dalla vigilanza per tutta la nostra permanenza in quello che, fino a prova contraria, dovrebbe essere un palazzo pubblico» ci spiega la delegazione, «a portare la nostra solidarietà ai magnifici sette». Ivano Peduzzi e Fabio Nobile (Fds), Luigi Nieri, Filiberto Zaratti e Gianluca Peciola (Sel) e Angelo Bonelli (Verdi) hanno constatato di persona le sofferenze fisiche degli occupanti e le condizioni di assoluto pericolo nelle quali stanno vivendo da ormai quattro giorni e che, mentre Liberazione va in stampa, si apprestano a trascorrere la quarta notte sull'impalcatura. «Tutto ciò» hanno sottolineato Ivano Peduzzi e Fabio Nobile «non spegne la tenacia di questi uomini e queste donne. Eppure le condizioni di salute di alcuni occupanti ci hanno molto preoccupato e abbiamo per questo chiesto di far salire il prima possibile un medico sull'impalcatura». Cosa che, ieri, è stata negata. «Tra l'altro» ha spiegato la delegazione «gli spalti dell'impalcatura non sono completamente chiusi, quindi la situazione è di grande pericolo». Nonostante ciò, dalla presidente Polverini non arriva nulla di più di un generico accenno, da parte del suo segretario generale, alla possibilità di calendarizzare dei tavoli tecnici. «Non accettiamo promesse che già troppe volte non sono state mantenute» ci spiegano i portavoce dei Movimenti uniti contro la crisi: «è opportuno definire una data ufficiale per poter discutere con una delegazione pienamente rappresentativa con gli assessori competenti e tecnici». Per questo, i sette del dodicesimo piano di Palazzo Polverini e le centinaia di persone che ogni giorno riempiono il presidio sotto la Regione, hanno lanciato «ai tanti cittadini che stanno pagando questa crisi» l'appello di rendere la più ampia e partecipata possibile la manifestazione di questo pomeriggio. Una manifestazione che sarà una sorta di "14 dicembre" regionale viste le tantissime realtà sociali, politiche, di movimento che vi prenderanno parte. «Le tantissime testimonianze di solidarietà» spiegano a Liberazione i "magnifici sette", raggiunti telefonicamente, «ci convincono sempre di più che la strada da percorrere è quella che abbiamo scelto e che stiamo vivendo. Qui, al dodicesimo piano di un palazzo che speriamo, quanto prima, possa ritornare a essere un luogo pubblico e di partecipazione e non una fortezza inespugnabile».

Liberazione 10/12/2010, pag 2

Obama cede a Israele: via libera alle colonie

Gli Usa rinunciano a esercitare pressioni. L'Ue: "Sono illegali". Negoziati in crisi

Francesca Marretta
Gaza City
Come un pugile colpito troppe volte, senza forza per reagire, Washington ha gettato la spugna con Israele sulla moratoria negli insediamenti su terra palestinese. Obama non chiederà più a Netanyahu di fermare le costruzioni nelle colonie. Perchè nonostante il sostanzioso pacchetto di aiuti economici e militari che ha offerto al governo israeliano per convincerlo a sbloccare la moratoria, in modo da far ripartire i negoziati diretti, la risposta che ha ricevuto è stata di picche. L'Amministrazione Obama cerca di dissimulare lo smacco, dicendo che questo passo non rappresenta un cambio di strategia e che l'obiettivo resta quello dei due Stati. Piuttosto, dicono dalla Casa Bianca, si tratta di un cambiamento di tattica. «Meglio concentrarsi sulle questioni chiave del conflitto, come i confini, lo status finale di Gerusalemme o il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi», questa la nuova linea della Casa Bianca. Ma per i palestinesi, parte in causa, gli insediamenti restano una questione centrale. Non lo sono per gli israeliani. Che sono riusciti a togliere le castagne dal fuoco. Senza comprendere, forse, il rischio, di trovarsi tra le mani, ora, una patata bollente. Ovvero il piano Fayyad sulla proclamazione dello Stato palestinese alle Nazioni Unite entro il 2011. Il segretario generale del Comitato esecutivo dell'Olp, Yasser Abed Rabbo, ha dichiarato ieri che dato fallimento americano per rilanciare i negoziati di pace, è arrivato il momento di «rivolgersi al contesto più ampio della comunità internazionale». Dunque all'Assemblea generale delle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza Onu. «Non è chiaro perchè invece di preooccuparsi della politica israeliana che minaccia i loro sforzi, gli Stati Uniti abbiano piuttosto scelto di condannare Brasile e Argentina per aver riconosciuto uno Stato palestinese indipendente», ha aggiunto Rabbo. Mentre da Atene, dove ieri si trovava in visita, il Presidente palestinese Abbas ha menzionato la «difficile crisi» dei negoziati dopo la scelta della Casa Bianca di staccare la spina al negoziato diretto (la moratoria era una precondizione per i palestinesi), auspicando ora un maggiore ruolo di mediazione da parte dell'Unione Europea. Una prima risposta positiva per Abbas da Bruxelles è giunta per via indiretta a stretto giro. La leader della diplomazia Ue, Catherine Ashton ha condannato ieri il rifiuto di Israele di accettare uno stop agli insediamenti in Cisgiordania, definiti «illegali» e di fatto «contrari» agli sforzi di pace nella regione. «I recenti sviluppi in materia di insediamenti, inclusa Gerusalemme est, vanno contro gli sforzi della comunità internazionale per arrivare ad un successo dei negoziati», ha aggiunto Ashton, attraverso la sua portavoce. Mentre a Ramallah si discute delle alternative ai negoziati diretti, a Gaza, il governo islamista "de facto" di Hamas, sempre più liberticida verso chi non si conforma ai canoni della Sharia, ha ripreso ha proporsi come interlocutore per l'Occidente, come fece dopo la vittoria elettorale del 2006. Già la settimana scorsa il Premier Ismail Hanyhieh, aveva lanciato pietre nello stagno, parlando della disponibilità di Hamas ad accettare l'esito di un referendum su eventuali trattati di pace e uno Stato palestinese sulle frontiere del 1967.
Ieri Hanyieh ha ricevuto a Gaza l'ex Ambasciatore americano in Qatar e Libano Mark Hambley, che ha paragonato il rifiuto dei governi occidentali di parlare con Hamas con l'isolamento diplomatico verso l'Olp negli anni '70 e '80. Hambley ha ricordato che all'epoca i colloqui con la leadership palestinese esiliata cominciarono in sordina, per arrivare, successivamente a un dialogo. Lo stesso accadrà col movimento islamico, dice in sostanza l'ex diplomatico di lungo corso. «Avremmo dovuto parlare con Hamas per gli scorsi tre anni. Il problema è che abbiamo messo questo movimento nella stessa categoria di gruppi che combattiamo», ha aggiunto Hambley.
E a Gaza non si ferma il fuoco israeliano. Ieri tre civili sono rimasti feriti per cannonate esplosa da carri armati a est di Gaza City. A Khan Younis (centro-sud) è stata colpito un'allevamento di polli, dove, oltre ai danni c'è stato un ferito. A Rafah raid aerei israeliani hanno distrutto alcuni tunnel di collegamento al territorio egiziano. Unico canale da cui entrano a Gaza materiali da costruzione.

Liberazione 09/12/2010, pag 6

Ernesto Balducci

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martedì 14 dicembre 2010

Google ebookstore

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Libro: La generazione tradita

Titolo La generazione tradita. Gli adulti contro i giovani
Autore Celli P. Luigi
Prezzo
Sconto 10% € 15,30
(Prezzo di copertina € 17,00 Risparmio € 1,70)
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 134 p., brossura
Editore Mondadori (collana Ingrandimenti)

Una generazione tradita da una società divisa, rissosa, individualista. Una generazione tradita da una politica faziosa, immorale e strafottente. Una generazione tradita dal suo Paese. Quel bel Paese in cui cultura e competenza sono requisiti trascurabili per accedere al mondo del lavoro e dove le aspirazioni di una generazione giovane vengono sacrificate a un sistema vecchio e malato. Pier Luigi Celli, che è stato direttore della Rai e oggi dirige l'Università Luiss Guido Carli, conduce con uno sguardo critico e impietoso un'indagine che scandaglia i sistemi educativi e gli intrighi della politica, i debiti della vecchia generazione e la lotta degli adulti contro i giovani. Dal suo punto di vista di manager di lungo corso, Celli recupera e sviluppa i temi che aveva lanciato in una provocatoria e assai discussa lettera a "la Repubblica", Figlio mio lascia questo Paese, fermamente determinato a trovare una risposta positiva possibile. C'è nell'aria un sentimento che ondeggia pericolosamente tra ineluttabilità, rassegnazione e voglia di riscatto. Solo un esame intransigente può restituire le condizioni per sperare e ricominciare. E, in questo, trova un suo senso preciso l'impegno di leggere pagine che sono, prima di tutto, un invito a guardare ai giovani con lungimiranza e generosità. Per prendere parte alla sfida. Per riconsegnare ai giovani la loro scommessa. Per rendere alla generazione tradita ciò che le spetta.

http://www.ibs.it/code/9788804598213/celli-p-luigi/generazione-tradita-gli-adulti.html

Contro la Crisi

http://www.controlacrisi.org

A cura dei dipartimenti “Lavoro e Welfare” e “Comunicazione” del Prc-Se

Lavoratori Uniti Contro la Crisi: Milano

Coordinamento dei Lavoratori in Lotta di Milano e interland

http://uniti.gnumerica.org/

GlobalProject

http://www.globalproject.info/

GlobalProject è una piattaforma multimediale resa possibile dal lavoro collettivo di molti mediattivisti di movimento. Questa esperienza fonda le sue radici nel percorso del movimento planetario che ha attraversato in termini conflittuali e progettuali, l’epoca della grande espansione della globalizzazione neoliberista, oggi definitivamente tramontata anche grazie a quelle straordinarie lotte, con l’avvento della crisi globale capitalistica. E’ proprio nel contesto della crisi che GlobalProject ha deciso il suo reload, verso il 2.0. La scelta è quella di addentrarci il più possibile nella rete, utilizzando spazi, risorse e conoscenze che la cooperazione “eccedente” ogni attimo accumula fuori e contro i dispositivi di normazione ed espropriazione della ricchezza cognitiva prodotta. La crisi globale ha messo in luce quanto sia necessario oggi costruire percorsi di indipendenza da ciò che è controllato, manipolato, dominato. GlobalProject 2.0 opera nel rifiuto di questo mondo ingiusto, e ritiene legittime le ribellioni sociali che ad esso si oppongono, ma è consapevole che questo non è abbastanza: la transizione dal rifiuto, dalla ribellione, dalla resistenza a forme di vita liberate che costruiscono il “comune” è il metaluogo che intende esplorare e contribuire a costruire.

Donna Haraway

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Donna Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, a cura di L. Borghi, introduzione di R. Braidotti, Milano, Feltrinelli 1995 ISBN 8807460017

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Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo
di: Donna J. Haraway
A cura di: L. Borghi

Autore/i: Donna J. Haraway
A cura di: L. Borghi
Editore: Feltrinelli
Collana: Interzone
Prezzo deastore.com (info) € 14.46
Formato: Libro, illustrato
Data di pubblicazione: 1999 (2 ed.)
Disponibilità (info) non disponibile
ISBN: 8807460017
ISBN 13: 9788807460012

Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo un libro di Donna J. Haraway
Dopo aver tematizzato l'esistenza del cyborg, "creatura della realtà sociale e contemporaneamente della fiction", il libro suggerisce l'inevitabilità della sua presenza al centro della riflessione femminista. Si aprono, secondo l'autrice, enormi potenzialità per un femminismo cyborg che tenga conto della precedente riflessione socialista e non faccia leva sulla matrice naturale come il pensiero delle politiche della differenza. Questa teoria socialfemminista vuole conservare una visione globale, che tenga conto della rivoluzione industriale in atto che crea una nuova classe operaia, nuove sessualità e nuove etnicità, mettendo in radicale discussione il sistema simbolico della famiglia dell'uomo. Inizio Pagina
Informazioni generali sul libro
Editore & Imprint: Feltrinelli
Pagine: 196

http://www.deastore.com/libro/manifesto-cyborg-donne-tecnologie-e-donna-j-haraway-l-borghi-feltrinelli/9788807460012.html

La repressione non fermerà questo movimento

Anteprima Liberazione di mercoledì 15 dic
14/12/2010 22:36 | POLITICA - ITALIA

di Paolo Ferrero
Ieri è tornato in campo prepotentemente il movimento degli studenti. Il governo – come a Genova quasi dieci anni fa – ha scatenato una repressione che ha un solo obiettivo: trasformare la questione politica posta dai giovani in una questione di ordine pubblico. Il tentativo - come a Genova dieci anni fa – è di utilizzare la repressione per fermare il movimento. Quindi Berlusconi resta in sella e manganella gli studenti. Questo potrebbe essere a prima vista il commento della giornata di ieri. Credo tuttavia che occorra andare un po’ più a fondo e vedere cosa è effettivamente accaduto. In primo luogo Berlusconi ha sì vinto, ma è del tutto evidente che con tre voti di margine non può governare. La situazione non è quindi destinata a durare. In secondo luogo, il modo in cui Berlusconi ha comprato i voti sta facendo vergognare una parte del suo stesso elettorato e il presidente del consiglio esce quindi vincitore dalla battaglia, ma per nulla rafforzato e probabilmente le elezioni anticipate si avvicinano.
Chi esce pesto è Fini e con lui il tentativo di costruire una sorta di transizione interna al blocco di potere berlusconiano. Le ipotesi di governi tecnici o di responsabilità che mantenessero integro il programma del caudillo sostituendo la sua impresentabile leadership sono da oggi decisamente più deboli. Le soluzioni intermedie – da noi avversate in tutti i modi - interne al blocco di potere del regime sono quindi in larga parte evaporate.
La situazione che abbiamo dinnanzi è dunque più radicalizzata. Berlusconi lavora per un’uscita a destra dalla crisi della seconda repubblica, in una deriva antidemocratica e antipopolare. Noi dobbiamo lavorare per un’uscita a sinistra, che si ponga l’obiettivo di abbattere Berlusconi e insieme a lui il berlusconismo.
Fino a poche settimane fa avevamo fondato questa nostra prospettiva prevalentemente sulla proposta politica di costruzione del fronte democratico. Oggi, la crescita del movimento pone le basi materiali affinchè quella prospettiva abbia basi di massa e sociali. Il movimento degli studenti ha un carattare per nulla effimero e si alimenta di una condizione di drammatica precarietà percepita sempre di più come un’insopportabile ingiustizia. Non è un caso se esso ha voluto e saputo naturalmente saldarsi alle grandi manifestazioni sindacali di queste settimane, riscoprendo una saldatura di interessi e di prospettive con quella parte del mondo del lavoro che a sua volta non vuole soccombere sotto i colpi dell’offensiva che il grande capitale gli ha scatenato contro. Dovrebbe essere ormai chiaro che nessuna ipotesi di “patto sociale” è perseguibile senza che essa si trasformi in una disastrosa capitolazione. La Cgil può (deve) oggi svolgere una funzione di cruciale importanza: unire le ragioni e i soggetti sociali che stanno pesantemente pagando questo stato di cose, ma hanno abbandonato ogni remissività. Lo sciopero generale è la scossa salutare e profonda che può ridare una chance alla democrazia.

http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=10114&catid=39&Itemid=68

Uniriot

Uniriot è la rivolta del sapere vivo tra le macerie dell'università riformata, è il conflitto dei precari nell'epoca del capitalismo cognitivo. Uniriot è l'insorgenza delle intelligenze contro il potere feudale degli atenei e i processi di aziendalizzazione, lo scardinamento dei confini e dei filtri disseminati lungo il percorso formativo. Uniriot è la non misurabilità della produzione di conoscenza, è il tempo eterogeneo e pieno delle forme di vita e di lotta.

http://www.uniriot.org

lunedì 13 dicembre 2010

Libro: Roboscopo

Titolo Roboscopo. Tutta la verità sui segni zodiacali dall'astrologo di Internazionale
Autore Brezsny Rob
Prezzo
Sconto 10% € 13,41
(Prezzo di copertina € 14,90 Risparmio € 1,49)
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 255 p., brossura
Editore Rizzoli (collana 24/7)

http://www.ibs.it/code/9788817045230/brezsny-rob/roboscopo-tutta-la-verit-agrave.html

Quando ha iniziato a scrivere oroscopi, Rob Brezsny era un giovane poeta e musicista alla ricerca dell'illuminazione, ma soprattutto di un lavoretto con cui pagare l'affitto e finanziare le sue performance. Giudicava gli oroscopi dei giornali "un abominio: incoraggiano le persone a trarre la conclusione, assolutamente sbagliata, che l'astrologia predica la predestinazione e nega il libero arbitrio". Oggi è uno dei più famosi astrologi del mondo e la sua rubrica viene tradotta ogni settimana in tredici lingue su 133 testate, grazie all'inimitabile stile lirico e provocatorio, sempre capace di ispirarci, consolarci e strapparci un sorriso. Solo lui sa svelare che ciascuno di noi può essere allo stesso tempo un ippopotamo, un giardino profumato, una formica che trasporta una patatina e un guerriero pigro. O spronarci a correre verso il vulcano, espiare le nostre vere colpe, fischiare con due dita, fare un sogno da cinque centesimi, scendere dai tacchi o scrivere sul marmo. In questo libro, espressamente concepito per l'Italia, sono raccolti per ciascun segno dello zodiaco il profilo della personalità, i personaggi da prendere a modello e gli straordinari consigli e spunti di riflessione di Rob, tratti dal meglio della sua ispirata "produzione" degli ultimi dieci anni: i più belli tra quelli pubblicati su "Internazionale" ma anche una ricchissima selezione di inediti, tra cui il suo primo oroscopo in assoluto.

Annoying Orange

http://www.youtube.com/user/realannoyingorange

http://www.youtube.com/user/realannoyingorange#p/u/12/cL_qGMfbtAk

Blog: Romattiva

Pubblicazioni caotiche di attivismo metropolitano.

http://romattiva.splinder.com/

domenica 12 dicembre 2010

Info: Not in The News Net

http://www.ntnn.info/it/home/

Libro: La coda lunga

Titolo La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati
Autore Anderson Chris
Prezzo
Sconto 15% € 16,15
(Prezzo di copertina € 19,00 Risparmio € 2,85)
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 265 p., ill., brossura
Traduttore Bourlot S.
Editore Codice

http://www.ibs.it/code/9788875781606/anderson-chris/coda-lunga-da-un.html

Pochi libri continuano a crescere, dopo la loro uscita, alimentando un dibattito reale e utile: "La coda lunga", il best-seller di Chris Anderson tradotto in più di trenta lingue, appartiene a questa ristretta categoria. In questa edizione, aggiornata nei dati e arricchita da un nuovo capitolo dedicato al marketing, il direttore di "Wired" ripropone la sua teoria su come internet abbia travolto i modelli di business basati sul tradizionale meccanismo distributivo e comunicativo. Anderson, in un percorso che unisce economia, critica sociale e utopia, offre la migliore fotografia di una società che sta plasmando da sé il proprio cambiamento.

Walden Bello

http://waldenbello.org/

Computer: combinare file pdf

PDFEDIT995 8.0

http://www.pc-facile.com/download/pdf_writer_viewer/pdfedit995/226.htm

PDF995 PRINTER 7.6S

http://www.pc-facile.com/download/pdf_writer_viewer/pdf995_printer/216.htm

Libro: Il ponte della Ghisolfa

Titolo Il ponte della Ghisolfa
Autore Testori Giovanni
Prezzo
Sconto 20% € 7,60
(Prezzo di copertina € 9,50 Risparmio € 1,90)
Prezzi in altre valute

Dati 2003, XIV-357 p.
Editore Mondadori (collana Oscar classici moderni)

http://www.ibs.it/code/9788804514473/testori-giovanni/ponte-della-ghisolfa.html

Pubblicata per la prima volta nel 1958, la raccolta di racconti "Il ponte della Ghisolfa" apre il ciclo de "I segreti di Milano", cui si aggiungeranno negli anni successivi un secondo volume di storie brevi, "La gilda del Mac Mahon", due commedie , "La Maria Brasca" e "L'Arialda" e infine il romanzo "Il fabbricone". Pagina dopo pagina, le vicende raccontate da Testori ci portano nel mondo popolare della periferia milanese dei primissimi anni Seesanta, abitato da operai, popolane, prostitute, raccontandoci storie di immigrazione e boom economico, amori e passioni, alte aspirazioni e cocenti delusioni.

Libro: Il colonialismo italiano

Titolo Il colonialismo italiano. Da Crispi a Mussolini
Autore Aruffo Alessandro
Prezzo € 16,00
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 167 p., brossura
Editore Datanews (collana Short books)

http://www.ibs.it/code/9788879813143/aruffo-alessandro/colonialismo-italiano-da-crispi.html

Una storia del colonialismo italiano scritta da uno dei più attenti studiosi dell'Africa. Fuori da ogni mistificazione e da ogni rimozione dei crimini italiani in Africa, una storia che dice la verità sulla brutale avventura coloniale dell'Italia. Nessuna "leggenda rosa" e nessun "colonialismo dal volto umano" ma solo colonialismo. Un libro che documenta, in epoca di revisioni storiografiche, i caratteri violenti e brutali del nostro passato coloniale, da Crispi a Mussolini.

Libro: Il mare di mezzo

Titolo Il mare di mezzo. Al tempo dei respingimenti
Autore Del Grande Gabriele
Prezzo € 15,00
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 222 p.
Editore Infinito

http://www.ibs.it/code/9788889602720/del-grande-gabriele/mare-di-mezzo-al.html

Una coraggiosa esplorazione sulle due sponde del Mare Mediterraneo lungo le rotte dei viaggiatori di ieri e di oggi, di donne, uomini e non di rado bambini che cercano un futuro e trovano una barriera di acciaio e pregiudizio, alla mercè di mercanti di esseri umani, feroci carcerieri e crudeli accordi internazionali, come quello tra Italia e Libia. Tre anni di inchieste, un viaggio tra memoria e attualità che vi farà trattenere il fiato dalla prima all.ultima pagina. Una raccolta di testimonianze e storie che fanno la storia. La nostra storia. E quella di un Mediterraneo sempre più blindato dalla paura dell'altro. Gabriele Del Grande - espulso dalla Tunisia e nella lista nera dei servizi segreti locali - si mette sulle tracce dei somali e degli eritrei respinti in Libia, facendo luce sul più misterioso naufragio mai verificatosi sulla rotta per l'Italia. La rete di informatori dell'autore si allarga dalla costa meridionale del Mediterraneo all'Italia e ai centri di espulsione. Ne nascono inchieste su truffe e pestaggi. E parecchi guai. Ma - come insegnano i pescatori di Mazara - non ci si può girare dall'altra parte. E il viaggio alla ricerca della verità continua, dal Nilo al Burkina Faso.

Blog: Fortress Europe

http://fortresseurope.blogspot.com/

Il blog di Gabriele Del Grande. Quattro anni di viaggi lungo i confini dell'Europa. Alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola sarà scritto che negli anni duemila morirono decine di migliaia di emigrati nei mari d'Italia. Mentre tutti fingevano di non vedere

Ebook: Edigita

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La piattaforma di distribuzione eBook degli Editori per gli Editori per la nascita e lo sviluppo
del mercato dei libri in formato digitale.

Editoria Digitale Italiana è una nuova società partecipata in parti uguali da RCS Libri, Messaggerie Italiane e Gruppo Feltrinelli per agevolare la nascita e lo sviluppo del mercato dei libri in formato digitale.
Il modello operativo è quello di una società di servizi che, per conto degli editori e dei retailer online, si occuperà di tutti gli aspetti tecnici legati alla distribuzione degli eBook, della gestione amministrativa e dei servizi di promozione e digitalizzazione.

giovedì 9 dicembre 2010

Al Jazeera to broadcast in India

Downlinking license gives English channel potential to reach an estimated 115 million households.
Last Modified: 07 Dec 2010 13:49 GMT

Al Jazeera English has been granted a license to broadcast in India for the first time.

The decision allows cable and satellite companies in India to add the channel to their line-up.

"This is an exciting breakthrough that has been in the works for several years, and we are extremely pleased that Al Jazeera English's groundbreaking news and programming will soon be available in India," Al Anstey, managing director of the channel, said.

"We know there is a great demand for our award-winning content. Through our dedicated resources in India, Al Jazeera is already presenting important stories from India to our global audience in more than 100 countries.

Diana Hosker, head of distribution for the region said: "With the prospect of reaching an estimated 115 million households in India, this important market will be significant as we continue to expand our global reach."

Al Jazeera English currently has a bureau in New Delhi which has covered major stories of international significance including the Mumbai siege, the general elections, the Commonwealth Games, the impact of the global recession on India, and the visit to India of Barack Obama, the US president.

Anmol Saxena, Al Jazeera English's bureau chief in New Delhi said: "With India's increasing engagement in world affairs and strong interest in international events, we are certain that Al Jazeera English will have a substantial following throughout the country."

http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2010/12/201012762555877955.html

Cameron eyes 2011 Afghan pullout

British PM says improved conditions on the ground could allow UK troops to start withdrawing from Afghanistan next year.

The UK prime minister, visiting Afghanistan on an unannounced trip, has said British troops could start withdrawing from the country as early as next year.

David Cameron said improving conditions made him optimistic about the withdrawal.

"In terms of next year I think that it is possible. We have to deliver on the ground what's necessary. What I have seen today gives me cause of cautious optimism," Cameron said on Tuesday.

Cameron has earlier made clear he hopes all British troops will be out of Afghanistan by 2015.

Talking at Camp Bastion in Helmand province on Tuesday, the prime minister also shrugged off US and Afghan criticism of the troops' performance, saying it no longer held true.

In a US diplomatic cables released by WikiLeaks, American diplomats in 2008 said diplomatic troops deployed in the Taliban stronghold of Helmand were "not up" to the task of securing the province.

Another cable said Gulab Mangal, the Helmand governor, had told US officials in January 2009 that American forces were urgently needed.

"When you look at what was said, it was relating to a previous period, when we all know now there weren't enough troops in Helmand," Cameron told reporters.

'Force density'

The UK has about 9,500 troops in Afghanistan, the bulk of which are in Helmand, where they were spread thinly until the US deployed an extra 30,000 troops to the country. Officials have said British troops have been able to concentrate on smaller, strategic areas of Helmand since the extra US troops
arrived.

"The force density issue ... you can absolutely feel it on the ground, it makes a difference," Cameron said.

He said the US criticism of British efforts in Afghanistan had not damaged ties between the two countries.

"I think the British-American relationship is incredibly strong ... of course WikiLeaks has led to lots of embarrassing questions but I think in the end it just doesn't change any of the fundamentals between Britain and America," he said.

At a conference in Portugal last month, Nato leaders agreed to meet the timetable set by Hamid Karzai, the Afghan president, for foreign troops to end combat operations in Afghanistan by the end of 2014.

Despite the presence of about 150,000 foreign troops in the country, civilian and military casualties are currently at their highest level since the Taliban were ousted in 2001.

At least 346 British troops have died in Afghanistan since 2001, almost a third of them this year.

Casualty rates among foreign troops have risen dramatically, particularly in the south and east, since July 2009 as Nato-led forces mounted more operations against the Taliban and other anti-government fighters.

http://english.aljazeera.net/news/asia/2010/12/201012754011883421.html

India and France sign nuclear deal

French company to build two reactors at the cost of $9.3bn in India's Maharashtra state.

India and France have signed a multibillion dollar agreement to build two nuclear power plants in India.

The agreement, valued at about $9.3bn, was signed on Monday in the presence of Manmohan Singh, the Indian prime minister, and Nicolas Sarkozy, the French president who is on a a four-day visit in India.

According to the agreement, one of France's main nuclear power companies, Areva SA, will build two pressurised reactors of 1,650 megawatts each at Jaitapur in the western Indian state of Maharashtra.

Al Jazeera's Prerna Suri, reporting from New Delhi, said the deal is much more significant for France than it is for India.

"France needs this deal because it's worth over 2bn euros for two nuclear reactors," she said.

"That's going to drum up jobs back home for them, it's going to infuse the [French] economy. For India, it's more about the regional significance that they are getting out of this."

Our correspondent also said there have been doubts over the operational success of the two reactors as "they are still not successful and there were lots of delays and cost overruns in this."

The deal marked the first two of 20 nuclear reactors India wants to build to meet its soaring energy demand.

Rising power

Recent visits by world leaders including Barack Obama, the US president, and David Cameron, the UK prime minister, have been indicative of the western world's recognition of India's status as a rising global economic power.

All these leaders have said during their visits to India that the key objective of their countries is to create jobs for their citizens back home through trade with India, clearly eyeing India as a country through which their economies can benefit.

But there have been concerns that India's recently passed liability law might prove too onerous for international companies to risk entering the market here.

Indian officials assured France that their liability laws were in keeping with international standards and the security of nuclear operators was ensured, a French official said.

According to our correspondent, domestic opposition in India "have also asked the federal government to add a clause for the nuclear liability in case there is an accident over here so France will be held responsible for it, which the French negotiators have been taking a strong stance against."

After the agreement was signed, Sarkozy and Singh met to discuss regional security, trade and investment.

The talks were also expected to touch on plans for the structural reform of the international monetary system through the Group of 20 countries, currently headed by France.

Sarkozy, who arrived in India on Saturday, is accompanied by his defence, foreign and finance ministers and nearly 60 business leaders.

The two countries are not expected to sign any defence agreements during the visit, but Sarkozy is likely to push for French companies to win contracts to supply military hardware.

India has so far not been allowed into the nuclear suppliers' group.

According to defence experts, India is expected to spend $80bn between 2012 and 2022 to upgrade its military.

The two countries have set a bilateral trade target of 12bn euros [$15.8bn] for 2012.

http://english.aljazeera.net/news/asia/2010/12/201012682457891235.html